Il prof. Marco Bassani sui referendum in Donbass: ” il diritto di secessione è stare con chi si vuole, e con chi ci vuole” - Russia News / Новости России

Analisi

Pubblicato il Novembre 11th, 2022 | Da Redazione Russia News

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Il prof. Marco Bassani sui referendum in Donbass: ” il diritto di secessione è stare con chi si vuole, e con chi ci vuole”

A poche settimane dall’insediamento in Italia dell’ennesimo governo a forte vocazione e trazione centralista guidato dalla approssimativa Meloni, con un nuovo probabile assalto alla diligenza da parte dei soliti partiti romani, il dibattito sulle prospettive dell’indipendentismo – alla luce dei recenti referendum tenutisi nel Donbass per far parte della Federazione Russa  – torna ad animarsi e rinvigorirsi. Ci si chiede infatti cosa accadrà nell’immediato futuro per le istanze separatiste di aree come la Catalogna, la Corsica, i Paesi Baschi, e anche la Scozia dopo la recente dipartita della Regina Elisabetta II che potrebbe segnare l’inizio di un processo di ridefinizione degli attuali assetti nel Vecchio Continente.

Abbiamo fatto il punto della situazione con il Professor Luigi Marco Bassanidocente di Storia delle dottrine e delle istituzioni politiche all’Università “La Statale” di Milano, nonché erede dell’indimenticato professor Gianfranco Miglio, in un’intervista esclusiva nel quale sono stati toccati punti molto importanti e che stanno a cuore, a chi da sempre si batte per gli ideali di libertà e di affrancamento di stati canaglia come quello italiano.

  • Professor Bassani, che idea si è fatto dei recenti referendum con i quali, recentemente, le regioni separatiste del Donbass hanno chiesto di aderire alla Federazione Russa?

Bisogna partire da un presupposto: non c’è dubbio che – esordisce – questi territori con ogni probabilità, in qualsiasi situazione normale, avrebbero votato l’annessione immediata alla Russia. Ciò è vero, ed è sempre stato negato da parte degli ucraini. Non solo negato, ma anche negato con la forza. Quello che nessuno racconta, è che in quelle zone c’era una micro guerra civile in corso, che stava andando da 6-7 anni. Volendo inquadrare la questione nei luoghi che conosciamo meglio e che sono a noi più congeniali, faccio questo esempio: se la Francia avesse invaso la Spagna e volesse garantire il referendum per l’indipendenza della Catalogna, probabilmente tale referendum darebbe esiti a favore della Catalogna indipendente pur tuttavia nascendo da una chiara violazione della legalità internazionale. Quindi, si tratta di una situazione veramente complicata. Se poi vogliamo chiederci se sono stati regolari, nel senso che è stata raccolta la voce del popolo in maniera regolare, questo francamente non lo saprei dire. Perché – per quel che so – non ci sono stati osservatori internazionali, che sono necessari e normali in casi del genere. Se però lei mi chiede se sono a favore dell’indipendenza, le rispondo che sono assolutamente d’accordo al diritto di secessione di ogni popolazione. Come diceva il mio maestro, Gianfranco Miglio il diritto di secessione è stare con chi si vuole, e con chi ci vuole. Ed eventualmente anche da soli. È del tutto chiaro che ogni convivenza va in qualunque momento rivista e ridiscussa, e le porte debbano essere sempre aperte”.

  • Il Presidente russo Vladimir Putin ha sempre evidenziato che questi quesiti referendari si sono tenuti in ossequio al diritto dell’autodeterminazione dei popoli, sancito dall’articolo 1 della Carta ONU. Ritiene che tale principio possa valere anche per i territori che compongono l’Italia?

Nella prima parte della domanda, Putin sostiene che questi referendum sono stati fatti, al di là dello sfregio della legalità internazionale precedente, in ossequio al diritto. Non è tanto il crederci o meno, quanto piuttosto è interessante concentrarsi sulla seconda parte della sua domanda: potremmo utilizzare i referendum per determinare la volontà dei popoli che compongono l’Italia? Possiamo affermare con certezza che all’interno dell’Italia, c’è un’area chiamata Veneto in cui se vi fosse organizzata una qualunque votazione referendaria, vedrebbe una stragrande maggioranza di favorevoli all’indipendenza. Delle altre aree, sappiamo meno. Sappiamo meno, perché ci sono stati meno sondaggi. Non perché ci fosse un grosso movimento indipendentista, poiché oggi la “questione indipendenza” in Veneto non è il tema politico dominante. Ma la mia sensazione è che stiamo andando nella direzione di uno sfascio tale, che la questione dell’indipendenza della propria regione, è fondamentale. Fondamentale finanche per il Molise, perché a un certo punto si capirà che l’unione con Roma distrugge ogni possibilità di vita dignitosa e, con essa, di quei piani di vita con un decoro piccolo-borghese, così come era stato possibile ancora con l’Italia. In qualche modo, devono essere organizzati dei referendum a cui bisognerà dare una risposta. Come tutti sappiamo, cinque anni fa ci sono stati dei referendum chiarissimi in Lombardia e Veneto, con cui queste due regioni chiedevano solo più autonomia e nessuno ha voluto dare una risposta. Il punto è che non devono essere piatiti e non devono essere assolutamente richiesti a Roma, quasi come se si trattasse di una gentile concessione. Le popolazioni che decidono di intraprendere un percorso di autogoverno, devono piuttosto chiedere lo scontro con Roma. Ho l’impressione che la situazione internazionale e quella generale dell’Italia la cui crescita economica negli ultimi 25  anni è stata inferiore a quella dello Zimbabwe e del Venezuela, possa favorire tale processo. Questo disastro economico che sta accadendo, presto costringerà tutti a pensare al futuro della propria famiglia e delle successive generazioni. Moltissime persone che oggi non ci pensano assolutamente, saranno costretti presto ad adottare delle vie che portano all’indipendenza della propria terra. Quali aree saranno, ora è difficile dirlo con esattezza. Non sappiamo se si debba ricalcare il modello delle regioni oppure se si debba pensare ad aree ancora più ampie, riferendoci all’Italia. L’Italia è un impero multinazionale, nel senso che è composta da tantissime nazioni: la Sicilia è una nazione, la Sardegna è una nazione così come il Veneto, il Sud o la Lombardia che anche potrebbero esserla. E finanche quello stesso Piemonte con tutte le sue evidentissime colpe nell’unità nazionale visto che ha fatto passare per brigantaggio, una guerra civile non dichiarata nei confronti dei cittadini del Meridione. All’interno dell’Italia, convivono minimo 4-5 nazioni riconosciute”.

  • Cosa dovrebbero, in concreto e in rigorosa punta di diritto, fare questi territori affinché possano affrancarsi dal pernicioso stato italiano?

“La mia sensazione – osserva – non è che si dirimerà tutto in punta di diritto, quanto piuttosto si andrà a uno sbrego costituzionale con Roma. Sono tutte questioni di rigoroso carattere politico, di non facile interpretazione. Sono uno storico che si occupa in particolare di storia del pensiero politico americano fra la rivoluzione e la guerra civile. È abbastanza evidente che in punta di diritto, la secessione e il tentativo di indipendenza degli stati del Sud erano perfettamente legittimi oltre che costituzionali, eppure Lincoln rispose a ciò con l’uso della forza. Quando si giunge a certe questioni, in realtà il diritto scompare. E quindi, non è nelle carte internazionali che si possano trovare risposte ai problemi politici presenti, perché si tratta – solo ed esclusivamente –  di questioni di forza, che in certi momenti, riguardano solo ed esclusivamente la politica, e non certo il diritto. La Costituzione e la sua modifica, in considerazione di ciò, chiamano in causa dunque la politica. Tutto quello di cui parliamo – la Costituzione – è un documento politico che non ha nulla a che vedere con il diritto. Lo so che i miei amici, amano definirlo “diritto costituzionale” ma così non è, perché in realtà il diritto risolve le controversie fra i privati. La Costituzione è un documento politico che va assolutamente rinegoziato da tutte quelle aree che cominciano a comprendere come l’unione con Roma, implichi assolutamente la perdita della loro dignità borghese e di poter avere piani di vita appena appena civili”.

  • Ha ancora senso parlare di secessione e indipendenza per i territori del Nord e Sud in Italia?

“Sicuramente, la Padania è morta con Umberto Bossi. Anche se l’idea ha avuto un suo momento in un certo periodo perché l’area definibile quale “Padania” poteva anche essere immaginata come una Nazione. Secondo Gianni Brera, lo era perché si trattava della nazione più omogenea d’Europa. Diceva che da Torino a Rimini, c’era un’area in cui si viveva più o meno allo stesso modo, e si raccontano le stesse barzellette. È l’area del “me” o “mi”, intendendo con queste espressioni la parola “io”. C’era una certa unità linguistica, oltre che storica. C’era un movimento che all’articolo 1 del proprio statuto aveva messo l’indipendenza, che oggi è diventato assolutamente nazionalista in un breve lasso di tempo. Anche se – a dire il vero – già ai tempi del mio maestro Miglio, c’erano state le avvisaglie. Con il professor Gianfranco Miglio, capitava spesso di discuterne e di osservare come si trattasse del peggiore strumento per la migliore battaglia. Oggi non si capisce più nemmeno quale sia, la battaglia della Lega. Dal punto di vista, invece, del Sud io credo che possa esserci una macro-organizzazione fra i territori che compongono il Mezzogiorno continentale. In fondo, certamente, esiste una lunghissima storia comune all’interno del Sud, che mette insieme la Calabria, le Puglie e anche la Campania. E così via. Quella che sembra mancare, piuttosto, è la volontà delle popolazioni. Mi dispiace sempre, quando parlo con i miei amici meridionali, che gran parte di loro difendano proprio quello che è l’attaccamento alla mammella del Nord, che il governo di Roma gli garantisce. Ma che in realtà – conclude con una punta di malcelata amarezza –  è la garanzia del sottosviluppo del Sud”.

Francesco Montanino 

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