Pubblicato il Settembre 18th, 2017 | Da Redazione
0ADDIO STANISLAV PETROV, EROE SCONOSCIUTO DELLA GUERRA FREDDA
Mosca, notte del 26 settembre 1983. Il mondo è stato vicinissimo a scomparire sotto i colpi di una guerra termonucleare che avrebbe provocato presumibilmente l’estinzione del genere umano. Fra il verificarsi dell’apocalisse e la salvezza del mondo intero, la figura del colonnello Stanislav Petrov che con grandissimo coraggio, freddezza e lucidità ha salvato il mondo da una guerra termonucleare che avrebbe comportato la distruzione del pianeta. “Semplicemente – dichiarò alcuni anni fa alla televisione italiana, con grande umiltà e semplicità – non volevo essere io, quello che avrebbe scatenato la terza guerra mondiale. Non ero affatto sicuro, avevo il 50% delle probabilità. Non ho mai capito quello che è successo. Di certo, so solo che in quel momento il sistema, che sino ad allora era stato come un orologio svizzero, quella notte aveva funzionato male. Dire che ho cambiato la storia mi sembra un po’ eccessivo, diciamo che ci ho messo lo zampino. Ho agito secondo la mia coscienza e basta”.
La storia che racconteremo è quella di un eroe di cui però si è saputo qualcosa soltanto negli ultimi anni, perché non doveva essere divulgata. E che non ha avuto purtroppo la riconoscenza che tutti noi avremmo dovuto tributargli, perché ci ha salvato dall’orrore nucleare.
Per meglio comprendere la portata di questa vicenda che sembra essere tratta da uno di quei thriller che tengono letteralmente con il fiato sospeso gli spettatori, dobbiamo contestualizzare il momento storico in cui ci si trovava. Nel 1983, la tensione fra USA ed URSS raggiunse probabilmente l’apice con le dichiarazioni rilasciate all’inizio di quell’anno dal Presidente statunitense Ronald Reagan che definì l’Unione Sovietica, come “impero del male”. Eravamo, per chi non lo sapesse, in piena “guerra fredda” fra le due superpotenze, e l’idea di un conflitto armato teneva il mondo in uno stato di perenne ed angosciante tensione che poteva sfociare da un momento all’altro in uno scontro militare vero e proprio.
A complicare ulteriormente le cose, ci fu tre settimane prima l’abbattimento di un aereo civile coreano al di fuori dello spazio aereo consentito, da parte dei sovietici che provocò la morte di 269 persone fra cui figuravano pure alcune americani. Con un inasprimento delle relazioni diplomatiche fra i due paesi tale, che il KGB in un’informativa non escludeva un imminente conflitto atomico.
La notte fra il 25 ed il 26 settembre di quell’anno, nel bunker Serpukhov 15 vicino Mosca nel centro di comando nucleare, Stanislav Petrov viene chiamato per fare il turno di notte al posto di un collega, che si era improvvisamente ammalato. L’allora 44enne colonnello dell’Armata Rossa, che dirigeva il gruppo di alta qualificazione della sua unità, accettò non senza qualche riluttanza perché doveva prestare le necessarie cure alla moglie, alle prese con l’insorgere di un male incurabile. Non poteva però permettersi di rifiutare e per questo motivo partì da casa.
Non sapeva però quello che stava per accadergli: per alcuni, interminabili minuti si trovò coinvolto in una situazione drammatica ed angosciante dove era in pratica l’arbitro della vita di miliardi e miliardi di persone.
Il suo compito era delicatissimo perché richiedeva concentrazione, lucidità e grande freddezza nel prendere le decisioni: erano infatti preposto a controllare i satelliti che monitoravano lo spazio aereo sovietico, e trasmettere ai suoi superiori i dati di un eventuale attacco contro l’URSS. Nel qual caso, occorreva contrattaccare, secondo quanto disposto dal protocollo militare che prevedeva anche e soprattutto l’utilizzo di armi nucleari.
La quiete della sala operativa venne ben presto spezzata da qualcosa di molto pericoloso ed allarmante: alle 00:14 (ora di Mosca) di quel giorno, uno dei satelliti del programma speciale OKO, rilevò il lancio di un missile dalla base militare americana di Malmstrom nel Montana. Il tempo di percorrenza della gittata del missile americano – secondo questo particolare e costosissimo dispositivo di difesa che all’epoca era utilizzato da entrambe le superpotenze – sarebbe stato di soli 25-30 minuti, sulla base delle risultanze di un modello che sino ad allora si era rivelato essere estremamente preciso. Il sistema OKO permetteva tanto ai sovietici quanto agli statunitensi di disporre di 10 minuti per decidere, dal momento che era possibile intercettare l’arma di distruzione di massa dal momento della partenza dalla base di lancio.
Ma lo schermo radar non confermava la presenza degli ordigni, ed a complicare ulteriormente le cose c’erano anche le particolari condizioni legate alla visibilità: mentre a Mosca era ormai notte fonda, nella base degli Stati Uniti invece il tramonto stava sopravvenendo e dunque non era affatto da escludere l’ipotesi di un lancio dei missili.
Su questo atroce dilemma – ovvero sul decidere se fosse o meno in vigore un attacco missilistico contro l’URSS – si realizzò il destino di Petrov che doveva stabilire se rispettare il protocollo militare che prevedeva il lancio di missili da Mosca e dunque l’inizio della terza guerra mondiale. Oppure disobbedire, dando ascolto al proprio istinto ed alla propria coscienza che gli suggerivano viceversa di non intervenire, non fidandosi appieno di quanto stava comunicandogli l’elaboratore elettronico. Al computer, le alte sfere militari avevano affidato il compito di premere il fatidico “bottone”, e dunque assumersi di fatto la responsabilità di dichiarare la guerra perché ritenevano una macchina più affidabile anche del più temprato ed affidabile degli uomini. Se arrivava dunque l’ordine, i soldati dovevano solo limitarsi ad obbedire ed eseguire. Tutti e 30 i controlli di sicurezza attivi, intanto, confermavano l’arrivo dei 5 missili, nonostante che al colonnello dell’Armata Rossa sembrava paradossale che gli americani ne avessero impiegato così pochi per scatenare un conflitto.
Davanti a lui c’erano due terribili scenari, dovendo affidarsi ad una macchina che non aveva mai sbagliato: se l’attacco fosse stato effettivamente in corso, il rischio era che il proprio paese potesse essere duramente colpito senza nemmeno avere la possibilità di reagire, se non si fosse attenuto al protocollo militare e dunque ordinato il contrattacco.
Viceversa se avesse ordinato di sganciare i missili e l’elaboratore si stesse però sbagliando, il rischio era quello di causare il casus belli, con cui gli USAa quel punto avrebbero reagito per davvero, sparando missili nucleari. Dando inizio alle ostilità con l’utilizzo di micidiali armi, cui probabilmente si sarebbe accompagnata nel giro di pochissimo tempo una catastrofe di livello planetario, con un terrificante tributo in termini di vite umane e distruzione di intere città.
L’intuizione di Stanislav Petrov alla fine, per fortuna, si rivelò essere giusta perché il computer, a causa di una particolare congiunzione fra la Terra, il Sole e la Luna, aveva scambiato per un lancio di missili quello che in realtà era un naturale fenomeno di allineamento planetario.
La burocrazia sovietica, confermandosi però ottusa e permeata da un’assurda rigidità, dopo l’accaduto non osteggiò ma nemmeno premiò il militare, visto ormai in maniera sospetta dai propri superiori. Come se non bastasse, nel frattempo Petrov vedeva non solo peggiorare le condizioni di salute della moglie, ma si vide frenata la carriera sino ad essere costretto a congedarsi dall’esercito. Non avrebbe dovuto e potuto parlare di questa incredibile storia neppure con i familiari, perché a nessuno sarebbe stato consentito di venirne a conoscenza.
Petrov aveva compiuto – come si sarà potuto capire – un atto di incredibile eroismo, ma il paese per il quale lavorava lo gettò via nel dimenticatoio, costringendolo a trascorrere gli ultimi anni della sua vita in uno stato di totale e vergognosa indigenza (una misera pensione di appena 200 $ mensili in un sobborgo nei dintorni della capitale)! Neppure dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la rinascita della Russia, il militare è stato riabilitato e premiato per l’aver salvato il mondo dall’olocausto nucleare.
Soltanto nel maggio 2004, la sua storia è venuta alla ribalta con l’associazione “Cittadini del Mondo” di San Francisco che lo onorò con un contributo 1.000 dollari ed un premio. Al contrario dei suoi connazionali, che non hanno mai saputo della sua straordinaria impresa. Il 26 settembre 1983 segnò paradossalmente per lui, l’inizio di un calvario perché dopo quella sera, non ebbe la gloria, fama ed i riconoscimenti che pure avrebbe ampiamente meritato mentre invece il mondo intero si è salvato grazie al suo non essersi piegato di fronte agli errori di un computer che potevano costarci carissimo.
Ieri, la notizia della sua morte a 78 anni nella più totale indifferenza, povertà e solitudine, come ormai era stato costretto dopo la morte della moglie.
A Stanislav Petrov, tutti noi dobbiamo la nostra sopravvivenza. Compreso purtroppo chi ha deciso di fatto di condannarlo ad un futuro fatto di stenti e miseria, solo perché aveva osato disattendere gli ordini impartiti da una stupida macchina…
Francesco Montanino