Difficile che ciò possa accadere di punto in bianco: l’Iran è appena ritornato sulla scena petrolifera dopo la fine delle sanzioni occidentali, sta cercando di riguadagnare il terreno perduto (a gennaio produceva 2,99 milioni di barili al giorno contro una capacità di 3,6 milioni) e a più riprese ha sostenuto di non pensare a limitazioni prima di aver raggiunto i suoi obiettivi.

Un evento non scontato viste le reciproche incomprensioni «energetiche» del passato e visto che nel conflitto siriano i due paesi sono divisi e sostengono parti avverse. Il «congelamento» è un passo di cui la Russia non potrà non essere grata date le difficoltà finanziarie in cui versa (e che iniziano a contagiare anche il regno saudita): petrolio e gas contano

L’interesse ad un «ribilanciamento» del mercato petrolifero, tuttavia, è ormai comune a quasi tutti gli attori del mercato. Stati Uniti inclusi, che grazie alla rivoluzione tecnologica del «tight oil» sono diventati i primi produttori mondiali (ma la classifica dipende dalle definizioni di petrolio che vengono adottate). Secondo uno studio della società di consulenza Deloitte, a questi livelli di prezzo circa un terzo dei produttori indipendenti di petrolio e gas a stelle e strisce rischia nel 2016 il fallimento. Il primo timido passo per un ribaltamento della situazione è stato fatto, ora però dovranno seguirne altri ben più coraggiosi.