Al MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna – la mostra “Revolutija: da Chagall a Malevich, da
In occasione del centenario della rivoluzione russa il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna ospita fino al 13 maggio prossimo la mostra “Revolutija: da Chagall a Malevich, da Repin a Kandinsky”. L’esposizione, allestita ed organizzata da CMS.Cultura in partnership con il Comune di Bologna / Istituzione Bologna Musei, è il frutto della collaborazione con il Museo di Stato Russo di San Pietroburgo cui appartengono i due curatori, Evgenia Petrova (Vicedirettore dello stesso museo) e Joseph Kiblitsky.
Dopo una carrellata di foto d’epoca, attraverso le quali il visitatore viene calato nella dimensione storica degli avvenimenti dei primi anni del ’900, eccoci di fronte al quadro di Repin, inno alle speranze umane per raggiungere la felicità e la libertà. Dipinto nel 1903, esso raffigura una coppia borghese che affronta le onde di un
Purtroppo, il fervore positivo che ci invade guardando il bellissimo 17 ottobre 1905 (1907) ancora una volta di Repin, fa da contraltare alla brutalità con cui l’esercito zarista represse questa insurrezione dal carattere decisamente socialista.
È noto che i movimenti definiti “Avanguardie russe” difficilmente possono essere delimitati in termini spaziali e temporali e circoscritti da un punto di vista dello stile e dei contenuti; come in nessun altro momento della storia dell’arte si è assistito alla nascita di scuole, associazioni e movimenti d’avanguardia diametralmente opposti l’uno all’altro e a un ritmo vertiginoso, che hanno
Nell’idea di celebrare il centenario della rivoluzione russa attraverso il rinnovamento culturale corre parallela la volontà di riportare l’attenzione alla pittura iconica e più conosciuta di Chagall, Malevich e Kandinsky e contemporaneamente di dare doveroso omaggio ad artisti rimasti un po’ nell’ombra come Repin, Petrov-Vodkin o Kustodiev, ricostruendo la varietà e la complessità degli stili, delle posizioni e dei pensieri.
La società si stava rinnovando rapidamente, i cambiamenti erano all’ordine del giorno in tutti gli ambiti sociali e culturali e la velocità (proprio come nei futuristi italiani, di cui Natal’ja Goncharova ha
Le oltre 70 opere, capolavori assoluti provenienti dal Museo di Stato Russo di San Pietroburgo, di artisti quali Nathan Alt’man, Boris Grigor’ev, Valentin Serov, Aleksandr Rodčenko, Sof’ja Dymšits-Tolstaja, Pavel Filonov e molti altri tra cui quelli prima citati, ripropongono le inquietudini, esasperazioni, angosce degli autori, i quali però nutrivano anche una fiducia nuova nelle agitazioni e trasformazioni del loro tempo, perché vedevano nel fuoco della rivoluzione la distruzione di un passato odiato e la possibilità di mutare l’esistenza, trovando un punto d’appoggio per il loro avvenire.
Tra le rappresentazioni di rottura verso il passato troviamo, per esempio, Il Quadrato nero, il Quadrato rosso (Realismo pittorico di contadina in due dimensioni), la Croce Nera, il Cerchio nero di Malevich (tutte
L’Avanguardia russa è nata proprio in un clima di forti contraddizioni sociali e di strappi radicali dalla tradizione ed è stata capace, almeno in principio, di rimanere lontana dalle vicende politiche contemporanee. Gli artisti difficilmente si sono spesi in prima linea nelle dispute sociali e politiche ma, piuttosto, hanno interpretato il proprio tempo dando vita a nuovi universi artistici. Verso la fine della mostra diventa chiaro che questa peculiarità non caratterizzò, invece, i periodi successivi a partire in particolare dal 1932, con l’avvio del cosiddetto Realismo Socialista.
Dalle esperienze di arte pura, assoluta, suprema che nulla ha a che fare con la vita, la società e la politica si arrivò ad un’arte a servizio della politica ed espressione della vita e del potere dell’homo sovieticus, come nel caso della celeberrima scultura L’operaio e la kolchoziana (1936) di Vera Muchina – in mostra presente con una riproduzione in scala ridotta – comunemente nota come uno dei simboli dell’Unione Sovietica.
Eventi sconvolgenti si erano susseguiti da quando nel 1930 era stata chiusa a Mosca la mostra di Malevich, così come tutte le altre mostre d’avanguardia. Lenin era morto, Stalin avanzava come testimoniato in mostra dal suo ritratto del 1936 di Pavel Filonov. Il trionfo del neo-verismo sovietico spalancava le porte a un’arte paternalistica, in cui al netto rifiuto di ogni ricerca moderna intesa a innovare il linguaggio delle arti, corrispondeva la supina accettazione del più vieto illustrazionismo.
Leonora Barbiani – Segretario Generale, Camera di Commercio Italo-Russa