Recanati – La statua di Leopardi, nell’omonima piazza, sembra essere stata realizzata differentemente dall’immaginario collettivo,
Anche se è mattina presto, vedo riversarvi tra le antiche vie di Recanati molti turisti, armati di tecnologiche macchine fotografiche, che immortalano parti dell’antico tessuto storico. L’ala nord del palazzo comunale è “fasciato”, come tutta la sua facciata secondaria, da ponteggi assemblati probabilmente per dei restauri dovuti alla furia del sisma, che continua a martellare a dovere questa sofferente terra.
Solo l’elegante torre ghibellina, che giganteggia sul costruito, sui cui lati spiccano i simboli cittadini, sembra non aver sofferto le ferite inferte dal terremoto, infatti non noto tiranti o altri accorgimenti statici sulla sua bella arte muraria.
Ogni parte di Recanati cela un ricordo, un pezzo d’Italia che abbiamo dimenticato, un personaggio celebre come il tenore Beniamino Gigli, che fu definito il secondo Caruso.
Arrivato a casa Leopardi m’imbatto in una strofa del “Sabato del Villaggio” e percettivamente immagino ragazzi scherzare e giocare, come fanno tutti i giovani del mondo e ciò mi fa soffrire molto, perchè ripenso a quanto tempo ho sperperato dietro ad argomenti futili, che ai tempi potevano essere scogli insormontabili e che oggigiorno ritengo
L’ultima tappa sono le due stupende mostre all’interno del complesso di Villa Colloredo, ma quella che mi colpisce maggiormente è dedicata all’immigrazione marchigiana, dove un treno virtuale mette in mostra vite dei nostri avi, partiti per lidi lontani nella speranzosa ricerca di lavoro. Mentre ascolto le loro avventure mi soffermo sulla mia giovane fotografa, pensando a come la storia si ripeta ciclicamente; questa volta tocca alla nostra generazione, bruciata dalla mala politica andar via per trovare fortuna.
La bellezza di Recanati è proprio questa, un vaso di Pandora da dove fuoriescono emozioni e ricordi, a partire dalla poetica del Leopardi caro a tanti estimatori.
Marco Iaconetti