Le nuove sanzioni antirusse: contenuti, obiettivi, conseguenze
Il 10 gennaio 2025 il Dipartimento del Tesoro dell’Amministrazione Biden ha imposto alla Russia misure sanzionatorie che si qualificano come le più dure dall’inizio dell’operazione militare speciale in Ucraina e che da allora, per la prima volta, vedono l’adesione simultanea del Regno Unito nell’imporre sanzioni dirette alle due compagnie energetiche russe Gazprom Neft e Surgutneftegas.
Le restrizioni riguardano aziende, persone e navi connesse con la produzione e la vendita di idrocarburi russi.
In primo luogo, le sanzioni sono dirette a colpire direttamente due giganti della produzione ed esportazione di petrolio: Gazprom Neft e Surgutneftegaz – capaci insieme di esportare via mare 970.000 barili al giorno – ed oltre due dozzine di società ad esse collegate e per lo più dedite alla fornitura di servizi di supporto tecnico petroliferi tra cui OFS Technologies, ENGS e TNG-Group, RN-Vankor, l’operatore del progetto di punta di Rosneft Vostok Oil, nonché Rusgazalyans, l’operatore dello sviluppo dei giacimenti Parusovoye, Severo-Parusovoye e Semakovskoye nell’Okrug autonomo di Yamalo-Nenets.
Le restrizioni si applicano anche alle imprese collegate a quelle russe colpite dalle sanzioni se la quota di partecipazione diretta o indiretta di queste alla proprietà aziendale delle partecipate supera il 50%.
Tra le altre c’è la filiale serba della Gazprom Neft: NIS (Naftna Industrija Srbije). Questa è l’unica azienda in Serbia impegnata nella ricerca e produzione di idrocarburi. Possiede anche una raffineria e una rete di distributori di benzina. Il presidente serbo Aleksandar Vucic ha già dichiarato che le sanzioni americane richiedono il ritiro completo del capitale russo da NSI entro 45 giorni. Attualmente Gazprom Neft possiede il 50% di NIS, Gazprom il 6,15%, la Serbia il 29,87%, le restanti azioni sono nelle mani degli azionisti di minoranza.
Le restrizioni hanno interessato anche le compagnie di navigazione, tra cui Sovcomflot, la più grande in Russia, nonché la controllata di Rosneft, Rosnefteflot.
La black list colpisce, inoltre, direttamente le navi. In totale, l’elenco comprende 183 navi che battono bandiera di Russia, Panama, Barbados e Gabon. Gli Stati Uniti ritengono che tra queste ci siano petroliere che fanno parte della “flotta ombra” della Russia, che vende petrolio russo aggirando le sanzioni occidentali e che sarebbe impiegata in qualche caso anche per trasportare greggio iraniano, come ha specificato l’Office of Foreign Assets Control (Ofac). Finora le petroliere obiettivo della guerra ibrida americana erano state solo 39. Inoltre, vengono colpite anche le navi cisterna per GNL, le navi passeggeri, nonché le navi che forniscono rifornimenti o altri tipi di servizi marittimi.
L’elenco dei soggetti sanzionati comprende le società di assicurazione del trasporto marittimo di petrolio Ingosstrakh e Alfastrakhovanie, che forniscono le polizze necessarie alle petroliere anche quando trasportano carichi di valore superiore al price cap imposto dal G7.
Gli Stati Uniti hanno vietato alle proprie società di fornire servizi di produzione petrolifera in Russia. Il divieto entrerà in vigore il 27 febbraio e riguarderà qualsiasi fornitura di servizi legata alla estrazione o alla produzione petrolifera, comprese le vendite dagli Stati Uniti a chiunque si trovi in Russia.
In pratica, ormai, qualsiasi connessione lavorativa diretta o indiretta, presente o passata con il settore energetico russo è motivo sufficiente per essere inserito nella lista delle sanzioni statunitensi.
Anche il settore del gas ha subito sanzioni. Oltre alle navi cisterna per GNL, l’elenco delle sanzioni comprende l’impianto di liquefazione del gas naturale di medio tonnellaggio Gazprom LNG Portovaya, che appartiene a Gazprom, e Cryogaz-Vysotsk, che appartiene a Novatek.
Tra le imprese di altri settori del pacchetto c’erano Kuzbassrazrezugol, l’azienda carbonifera Denisovsky GOK in Yakutia e l’impianto di assemblaggio di pezzi grezzi Liskinsky.
L’elenco si estende anche persone fisiche: “funzionari ed élite del settore energetico“. Ci sono 37 nomi in totale, tra cui il capo della Gazprom Neft Alexander Dyukov, il capo della Zarubezhneftil, Sergei Kudryashov, il capo della Lukoil, Vadim Vorobyov, il figlio del comproprietario della Lukoil, Yusuf Alekperov.
L’amministrazione dell’attuale Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden prevede che le nuove restrizioni costeranno alla Russia miliardi di dollari ogni mese e, di conseguenza, colpiranno il tasso di cambio del rublo e porteranno ad un aumento del tasso di riferimento della Banca Centrale della Federazione Russa.
Gli Stati Uniti finora avevano calibrato le sanzioni rivolte al settore petrolifero russo, nella consapevolezza dei possibili rischi di una carenza della materia prima e soprattutto dei rialzi incontrollati dei prezzi dei carburanti.
Tuttavia, l’amministrazione Biden ha affermato che le sanzioni su larga scala contro il settore energetico russo non rappresentano una minaccia per il mercato petrolifero globale, poiché, secondo la Casa Bianca, non vi è alcun rischio di carenza di approvvigionamento, grazie alla crescita della produzione di greggio in Guyana, Brasile, Canada, Medio Oriente e Stati Uniti.
Il Presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha ringraziato gli Stati Uniti per quello che ha definito il loro “sostegno bipartisan”.
John Herbst, ex ambasciatore statunitense in Ucraina, ha affermato che, nonostante le misure siano “eccellenti“, la loro attuazione sarà fondamentale. “Ciò significa che sarà l’amministrazione Trump a stabilire se queste misure metteranno effettivamente sotto pressione l’economia russa“.
La stessa Casa Bianca ha concluso che il destino delle nuove sanzioni dipenderà interamente dall’amministrazione del Presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump.
Tuttavia, alcune delle misure annunciate venerdì dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti diventeranno legge, il che significa che la nuova amministrazione Trump dovrà coinvolgere il Congresso se vorrà revocarle.
Le mosse di Biden possono destabilizzare i mercati interrompendo temporaneamente le forniture di petrolio russo e costringendo la Russia a trovare rotte alternative, rendendo le consegne più costose.
Secondo il veterano analista finanziario indipendente Tom Luongo “la Russia è semplicemente troppo grande per essere esclusa dal mercato a causa dei prezzi, il che significa che eventuali aggiustamenti dei prezzi si applicheranno al mercato mondiale una volta che Mosca si sarà adeguata alle nuove restrizioni”.
A dieci giorni dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca la cosa certa è che il mercato ha intensificato i rialzi fin dalle prime indiscrezioni sulle nuove misure approntate da Washington e il Brent è arrivato a guadagnare fino al 5% nel corso della seduta di venerdì 10, raggiungendo un picco di 80,75 dollari al barile, su livelli che non si vedevano dai primi di ottobre.
La Russia rappresenta circa l’11% della produzione mondiale di petrolio greggio (10,75 milioni di barili al giorno), consumandone solo 3,68 milioni di barili al giorno. Il resto viene esportato. Qualsiasi aumento dei prezzi causato dalle sanzioni si applicherà a questi 7 milioni di barili al giorno.
Secondo oilprice.com, i prezzi del petrolio sono già aumentati dopo l’annuncio delle sanzioni: il WTI del 3,58%, il Brent del 3,69% e il paniere OPEC dell’1,13%.
Prezzi più elevati del petrolio significano prezzi più alti della benzina e, se mantenuti nel tempo, di tutto ciò che necessita del trasporto con benzina, dai prodotti alimentari e per la casa ai materiali da costruzione, ma anche costi di produzione più elevati, soprattutto in regioni che non hanno una fonte energetica propria importante, come l’Unione Europea.
Nel comunicato ufficiale del Ministero degli Esteri della Federazione Russa del 12 gennaio 2025 si legge che “La decisione dell’attuale amministrazione americana di introdurre nuove misure restrittive nei confronti dell’intero settore energetico nazionale e di una serie di grandi aziende, comprese sanzioni personali contro i loro dirigenti e i funzionari del Ministero dell’Energia della Federazione Russa, rappresenta un tentativo di causare almeno qualche danno all’economia russa, anche a costo di rischiare la destabilizzazione dei mercati mondiali alla vigilia della fine del inglorioso mandato al potere del presidente George Biden.
Sullo sfondo del fallimento della scommessa di Washington sulla “sconfitta strategica di Mosca” e della pressione delle sanzioni volte a indebolire l’economia russa, che, nonostante la pressione esterna senza precedenti, non solo è sopravvissuta, ma continua a svilupparsi, i tentativi della squadra uscente della Casa Bianca mira a rendere il più difficile possibile o a rendere impossibile qualsiasi legame economico bilaterale, anche per gli affari americani.
Ciò sacrifica gli interessi sia degli alleati europei degli Stati Uniti, costretti a passare a forniture americane più costose e instabili, sia della loro stessa popolazione, che ora soffre le conseguenze degli incendi su larga scala in California, le cui opinioni sull’aumento dei prezzi del carburante contavano prima le elezioni presidenziali di novembre, quando i prodotti petroliferi russi furono acquistati tramite intermediari, possono già essere ignorate. Di conseguenza, al futuro presidente, che non ha il diritto di revocare queste sanzioni senza l’approvazione del Congresso, rimane la “terra bruciata” – in senso letterale e figurato.
Naturalmente, le azioni ostili di Washington non passeranno inosservate e saranno prese in considerazione nella costruzione della nostra strategia economica estera. Continuerà l’attuazione di grandi progetti nazionali per la produzione di petrolio e gas, nonché la sostituzione delle importazioni, la fornitura di servizi petroliferi e la costruzione di centrali nucleari nei paesi terzi. Nonostante le convulsioni alla Casa Bianca e le macchinazioni della lobby russofoba in Occidente, che cerca di trascinare il settore energetico mondiale nella “guerra ibrida” scatenata dagli Stati Uniti contro la Russia, il nostro Paese è stato e rimane un attore chiave e affidabile nel mercato globale dei carburanti”.
Davide Della Penna