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La transizione ecologica: Sardegna e il paradosso dell’eolico

Senza dubbio è una delle parole più spammate sui media nell’ultimo periodo. Ma cosa comporta realmente per  la quotidianità dei cittadini?

La nostra inchiesta di oggi si occupa delle energie rinnovabili, soprattutto per quanto riguarda il sistema eolico.

E’ di questi giorni la notizia che riguarda la moratoria decisa dalla Regione Sardegna sulla diffusione di impianti di energia da fonti rinnovabili, in particolare i parchi eolici. Il provvedimento approvato in Consiglio Regionale stoppa per 18 mesi i nuovi impianti, per la tutela del patrimonio culturale, storico e paesaggistico dell’isola.

Indubbiamente un settore molto redditizio per chi investe, ma che lascia non pochi dubbi sull’effettiva utilità in base al fabbisogno energetico, oltre alle problematiche dal punto di vista ambientale.

Secondo i dati regionali, la Sardegna produce più energia di quanta ne consumi, il che porta ad esportarne oltre il 40%, ma il paradosso è che i sardi pagano le bollette più salate del Paese.

Nonostante questo alto contributo energetico, si verificano costantemente nuove richieste di concessioni per impianti e parchi eolici, soprattutto da società che fanno capo a multinazionali straniere; cosa che fa legittimamente sospettare una sorta di speculazione energetica e finanziaria.

La mappa che illustra le concessioni sul territorio fornite da TERNA – Rete Elettrica Nazionale fa capire quanto il territorio sia ampiamente e dolorosamente sfruttato.

E numerosi sono i nuovi progetti presentati per l’approvazione, compresi quelli denominati offshore, cioè direttamente sul mare.

Ma quali sono le conseguenze per l’ecosistema? E quale sarà l’impatto a livello paesaggistico?

Una pala eolica è alta all’incirca 260 metri… immaginiamone centinaia in mezzo al mare.

Notevole anche l’impatto degli impianti su terra, con tonnellate di cemento armato e cavi d’acciaio, che modificano irrimediabilmente il paesaggio e che non rimarranno sul posto anche in caso di rimozione delle turbine.

I danni sociali e ambientali non sono irrilevanti: inquinamento elettromagnetico, danni all’ecosistema e all’equilibrio di flora e fauna; in mare abbiamo modificazione delle correnti e devastazione del suolo sottomarino; su terra inquinamento acustico e moria di volatili che vengono intrappolati nelle pale.

C’è poi il problema dello smaltimento a fine vita, dopo una ventina d’anni di utilizzo: una pala eolica pesa circa 1700 tonnellate ed è costituita da cemento, acciaio, ferro, fibra di vetro, e resine, che spesso contengono il famigerato Bisfenolo A (BPA), agente chimico tossico, interferente endocrino e probabile cancerogeno.

La difficoltà di riciclo fa sì che vengano smaltite nelle discariche, dove impiegano centinaia di anni per decomporsi e in questo periodo rilasciano materiali altamente inquinanti.

A questo si aggiunge l’inquinamento delle fondamenta di cemento armato, che come abbiamo detto prima non vengono rimosse ma sotterrate, creando ulteriori problemi a livello ambientale e paesaggistico.

In conclusione questa forma di energia “rinnovabile” sembra portare più problemi che vantaggi, ed è giusto chiederci, e soprattutto chiedere ai nostri politici, se ne valga davvero la pena.

Eva Bergamo

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La transizione ecologica Sardegna e il paradosso dell’eolico – RN

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