Milano – La Russia è una potenza nucleare. Perché non è una potenza economica? L’anno scorso, il PIL del paese ammontava
La notizia del rapporto di Piketty & c. è stata riportata proprio oggi anche da “Milano Finanza“, uno dei principali media economici italiani, che ha pubblicato i dati dell’economista francese elaborati con altri due autori e
Gli oligarchi emergono nell’analisi come una parte essenziale dell’apparato di Putin. La loro ricchezza proviene direttamente dalle riserve del paese e, di fatto, dalle tasche del popolo russo.
Secondo i calcoli del rapporto di Thomas Piketty , la Russia dovrebbe risultare molto ricca. Ha una grande quantità di risorse naturali: petrolio e gas, ovviamente, ma anche carbone, cereali, prodotti ittici e vaste riserve di minerali. Aveva esportato poco sotto il regime sovietico, ma la situazione è cambiata rapidamente dopo il crollo del 1991.
Tra il 1993 e il 2015, la Russia ha esportato in media circa il 10% in più ogni anno rispetto alle importazioni. Ma quanto
E la Russia? Secondo lo studio dei tre economisti, se si sommano oltre vent’anni di surplus delle esportazioni, i suoi investimenti netti all’estero avrebbero dovuto essere enormi, pari a circa il 230% del Pil senza tener conto degli interessi e dei rendimenti ottenuti, che a loro volta avrebbero dovuto produrre altri investimenti.
La maggior parte di questa ricchezza, tuttavia, non compare nei libri contabili ufficiali della Russia. Secondo i calcoli degli economisti, nel 2015 il suo patrimonio netto ufficiale all’estero, ovvero il valore di ciò che un paese possiede all’estero meno il valore dei beni russi di proprietà di stranieri, ha raggiunto appena il 26% del reddito nazionale.
La semplice matematica implica che una quota di tali eccedenze accumulate, pari a oltre il 200% dell’attuale reddito
Miliardi mancanti. Gli economisti sostengono che gran parte del denaro mancante è stato probabilmente incanalato fuori dal paese attraverso transazioni offshore, che non compaiono nelle statistiche pubbliche ufficiali. A mettere in moto questo processo, ricordano i tre economisti, fu la rapida privatizzazione che seguì la caduta dell’Unione Sovietica: i beni dello Stato furono venduti a prezzi stracciati e quelle che erano vaste risorse pubbliche sono state concentrate in relativamente poche mani private.
Parte di questo denaro potrebbe anche essere stato reinvestito in Russia. Gli autori interpretano i dati disponibili per suggerire che una quota pesante di ciò che viene contabilizzato come passività verso stranieri siano in realtà di proprietà di russi, simulati attraverso i conti offshore.
Il contrabbando di capitali offshore, se non è reinvestito nella capacità produttiva russa o tassato per finanziare programmi socialmente vantaggiosi, non va certamente a vantaggio dei 144 milioni di non-oligarchi russi. Né è equa la distribuzione della ricchezza all’interno del paese.
Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, la quota di reddito nazionale attribuibile al 50% della popolazione con il reddito più basso è crollata. Forse non è sorprendente, data l’iperinflazione e la disoccupazione che colpirono l’economia in quegli anni caotici. Ma la persistenza di questo spostamento della distribuzione del reddito è altrettanto sconcertante.
Putin, che gestisce il paese dal 2000, è in non piccola parte responsabile nel consentire che questo flusso di ricchezza transiti, offshore e onshore, nelle mani di pochi. In fondo, questi investimenti negli oligarchi rendono bene, se si pensa alla capacità acquisita di
In termini di benessere del popolo russo, tuttavia, la leadership di Putin è stata fin qui disastrosa, conclude Quartz, se alle politiche di distribuzione della ricchezza si aggiungono le sanzioni internazionali che queste macchinazioni geopolitiche hanno provocato.
L’opinione pubblica russa non ha ancora chiesto conto a Putin della sua plutocratica scommessa. Come concludono gli economisti, “l’estrema disuguaglianza sembra accettabile in Russia, purché i miliardari e gli oligarchi continuino ad essere fedeli allo Stato russo e ai suoi apparenti interessi nazionali“. Ma si tratta, aggiungono, di un “fragile equilibrio“.
RED
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