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SERGIO ROMANO: “PUTIN E LA RICOSTRUZIONE DELLA GRANDE RUSSIA”

Milano – Uno degli aspetti forse meno conosciuti dall’opinione pubblica quando si parla della Russia di Putin, è indubbiamente quello delle vicissitudini storiche che ne hanno contrassegnato Presentazione del libro su Putin di Sergio Romano - foto di Evgeny Utkinil cammino negli ultimi 25 anni. Il passaggio traumatico che ha accompagnato il gigante eurasiatico dal crollo della dittatura comunista all’avvento di Boris Eltsin, sembrava dover far inabissare la superpotenza eurasiatica nell’anonimato, nonostante la nascita delle prime istituzioni democratiche, dopo interi decenni in cui era sempre stata la segreteria del PCUS a stabilirne l’agenda politica. Un periodo scandito anche dall’avvento di potentissimi gruppi oligarchici, di pericolosi nazionalismi (vedi Zhirinovsky) ed anche da condizioni di diffusa e spaventosa povertà, in una popolazione che – seppur duramente provata – però non ha mai perso la propria innata capacità di reagire di fronte alle avversità.

Ed infine, l’arrivo quasi in punta di piedi di Vladimir Putin che ha restituito alla Russia orgoglio, decoro e dignità che, ad un certo punto, parevano essere stati definitivamente consegnati ai libri di storia. Tanto che qualcuno si è pure affannato a proferire di nuovo la parola “guerra fredda”, in considerazione dell’innegabile ruolo da protagonista sullo scacchiere politico internazionale che Mosca è tornata ad avere in questi ultimi anni.

Di questo ed altro se n’è parlato oggi pomeriggio nella sede dell’”Associazione Italia-Russia”, nel corso della presentazione dell’ultimo lavoro editoriale (alla sua terza ristampa) dell’ambasciatore e storico Sergio Romano (“Putin e la ricostruzione della Grande Russia”) che ricostruisce – com’è nel suo consueto stile – con una certa precisione e dovizia di particolari, le circostanze che hanno portato all’inarrestabile ascesa al potere di Putin, che da oltre 15 anni è il protagonista indiscusso della scena politica russa.

E che può probabilmente considerarsi come il più grande statista dei nostri tempi. Soprattutto in virtù del fatto che, oltre che ad essere amato dal suo popolo, vanta un numero sempre crescente di estimatori e consensi anche in quello stesso Occidente che – secondo Romano – ha commesso diversi errori che, nel tempo, hanno contribuito a risvegliare dal torpore nel quale era caduto, l’orso russo.

In una sala completamente gremita, Romano ha parlato naturalmente anche della questione delle sanzioni e dei rapporti con il neoeletto presidente americano, Donald Trump. Facendo però prima un salto indietro nel tempo, considerando che la disamina dell’ambasciatore e dello storico, parte dalla concezione di Stato inculcata da Stalin che molto ha influito sull’attuale visione del presidente russo.

“Per capire Putin – ha esordito Romano – e capire dove sta andando, occorre analizzare la rilevanza che ha la figura di Stalin, nella sua visione politica che mira alla restaurazione dell’autorevolezza e del prestigio della Russia in Europa e nel mondo. Vale la pena però raccontare un episodio a suo modo significativo, per capire meglio quali sentimenti abbiano da sempre animato Putin, di cui si è sempre parlato negli anni immediatamente successivi al suo insediamento al Cremlino. Nel 1989 durante una sua visita a Dresda, Mikhail Gorbaciov fece un discorso molto critico nei confronti di Erich Honecker, ex dirigente della DDR, creando l’aspettativa di un comunismo riformista. Un processo che però era iniziato già molto tempo prima, con riunioni segrete e proteste nei confronti del regime, e per questo Gorbaciov era ritenuto una sorta di “acceleratore” di questo processo di cambiamento. Ne seguì una forte protesta da parte della popolazione che era sempre più arrabbiata, e che si concentrò in un edificio occupato dai sovietici. Putin, che vi si trovava al suo interno, si mise subito in contatto con il comando delle truppe sovietiche che allora erano circa 700.000 unità in Germania Est. E la risposta che gli venne data fu che non poteva avere istruzioni, perché a Mosca tutto taceva. Non avendo ricevuto istruzioni, fece da sé e si trovò così costretto a dover bruciare tutte le carte del KGB in una stufa, che poi esplose. Questa fu un’esperienza che non dimenticò mai, perché vedeva sgretolare lo stato. E lo segnò profondamente, sino a quando non mise piede al Cremlino. Alla luce di tutto questo, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non è affatto un restauratore del comunismo, in quanto – a giudicare dalle biografie che sono state scritte sul suo conto – non è assolutamente ideologizzabile. Sotto questo aspetto è un patriota, un nazionalista. Ma non nel senso che abbiamo imparato a conoscere negli anni ’30. Bensì, la nazione come faro illuminante. Ma cosa bisogna fare per recuperare l’autorevolezza perduta, escludendo il recupero dell’ideologia comunista? Occorre lavorare sulla storia e sui migliori valori espressi dalla Russia. Riscoprendo dunque le tradizioni ortodosse, ed anche le doti di battaglia e di grande combattività che hanno sempre contraddistinto il popolo russo. Non a caso, è amico del patriarca Kirill che qualcuno credeva appartenesse anch’esso al KGB. È molto devoto se pensiamo che fa il segno della croce con grande visibilità come tutti gli ortodossi, e porta la croce che gli ha regalato la madre la prima volta che andò a Gerusalemme. E quando va in giro per il mondo, non si dimentica mai di andare nei luoghi sacri dell’ortodossia, così come ha fatto nella sua ultima visita in Grecia. Per tutta questa serie di ragioni, non è ideologicamente identificabile. Un uomo così può fare a meno di Lenin, ma non certo di Stalin. E spiego anche il perché. Stalin ha costruito lo stato sovietico, così come lo conosciamo, con tutti i suoi vizi e virtù. Per un uomo che intende recuperare la grandeur storica russa, non si può assolutamente fare a meno di ignorare ciò che fece Stalin per vincere la Seconda Guerra Mondiale. Una guerra che l’URSS, la Russia, ha vinto e non credo che sarebbe finita in quel modo se non fosse intervenuto Stalin per arginare la Germania di Hitler. Certo, c’è una parte di Stalin che non è facilmente recuperabile e rivalutabile se pensiamo alle purghe ed alle brutali persecuzioni effettuate contro i suoi nemici. Oppure anche all’introduzione di minoranze che sono state poste all’interno di ciascun paese appartenente all’URSS, con il solo scopo di creare contrasti e tensioni sociali, che poi lui avrebbe provveduto a dirimere come arbitro. Per Lenin, invece, il discorso è totalmente diverso perché è un personaggio assai ingombrante e ritenuto da Putin responsabile di fatti divisori che non vanno ricordati. Dal 1968 in poi, abbiamo assistito alla rivisitazione dei fatti storici, in cui erano di moda i dibattiti sulle “colpe dei padri” con le rivisitazioni dei fascismi, come la Francia di Petain o di Vichy. È per questa ragione che Putin preferisce non parlarne. Lenin è un personaggio straordinariamente importante nella storia russa, ma assai difficile da maneggiare. Per rendere l’idea, ha tagliato corto su una vecchia discussione a proposito del Mausoleo di Lenin: è curioso però come in alcune zone siano scomparsi dei vecchi monumenti che lo commemoravano, mentre in altre città invece c’è chi non è affatto disposto a farli togliere perché c’è ancora qualcuno che non vuole fare a meno di questa figura. L’ultima parola in capitolo però spetta sempre a Putin che può decidere di non far svolgere le celebrazioni e le commemorazioni, per ricordare la Rivoluzione di Ottobre. Va rilevato comunque che ha recuperato anche diversi pezzi della storia pre-rivoluzionaria, se pensiamo che ha istituito la giornata della cacciata dei polacchi da Mosca nel 1613 che è coincisa con l’avvento della dinastia dei Romanov. Qualcuno parla di dittatura, ma secondo me sbaglia. All’interno della Federazione Russa, infatti, ci si può ancora spostare e c’è ancora una certa libertà di stampa checché se ne dica. È un regime di tipo nuovo che non è né una dittatura, né qualcosa che abbia lontanamente a che vedere con le democrazie occidentali. Così come da queste parti esiste in maniera insensata la russofobia, allo stesso modo in Russia esiste una certa diffidenza nei nostri confronti. In particolare, è diffuso il sentimento di avversione nei confronti di certe ONG che noi riteniamo innocue, mentre loro invece le considerano la quinta colonna di una potenza straniera. C’è chi addirittura le ritiene, probabilmente esagerando, come una perversione del tessuto sociale”.

Numerose le domande poste dal folto pubblico presente in sala, e naturalmente non potevano mancare anche la gestione dell’immigrazione, la questione ucraina ed i rapporti con gli USA, alla luce dell’insediamento di Donald Trump pochissimi giorni fa alla Casa Bianca.

“In merito all’immigrazione – ha osservato -, la Russia è l’unico impero al mondo ad avere le colonie al suo interno. Non dimentichiamo che al suo interno vivono 20 milioni di musulmani, e per questo ritengo sia stato stupido non rivolgersi ad essa per risolvere il problema dell’integralismo islamico. Si è cercato di creare delle convivenze, così come ha fatto Stalin. Ma come si fa a governare un paese etnicamente e religiosamente disomogeneo? In passato si è provato con il comunismo, perché era un’ideologia. Oggi, invece, si sta cercando di ricreare l’identità eurasiatica, così come già diversi secoli fa avevano suggerito alcuni slavisti. Putin crede molto nell’Eurasia, perché sa bene che se si identificasse troppo nell’Europa Occidentale rischierebbe di perdere in qualche modo quel consenso di quella parte di paese che europea non è. Ho sempre cercato di spiegare a quei lettori che hanno dei pregiudizi nei confronti della Russia che questo paese va capito. E’ vero, ha fatto i suoi errori. Ma è altrettanto innegabile che presenta diversi punti in comune con noi. Ricordo inoltre che è il primo paese ad aver subìto l’esperienza del terrorismo islamico. Ci siamo già dimenticati della strage della scuola di Beslan, dell’attentato alla metropolitana di Mosca, dell’occupazione di un teatro o dell’abbattimento di due aerei da parte delle truppe cecene. Sono fatti accaduti appena 10-15 anni fa, eppure tutti ce ne siamo già dimenticati perché continuiamo a ritenerli dei barbari. E la cosa, a dire il vero, mi dà un po’ fastidio. Sulla gestione dell’immigrazione, il problema non si pone e non è minimamente paragonabile con quanto sta accadendo in Europa, perché in Russia la polizia dispone del potere e dell’autorità per intervenire”.

Il discorso è quindi scivolato sulla “questione Ucraina” che ha provocato l’inasprimento ed il deterioramento con i paesi del blocco occidentale con le successive sanzioni economiche, sulla quale Romano ha evidenziato un episodio di cui poco si è parlato. “La Russia – ha precisato l’ambasciatore Romano – non ha mai violato il principio di autodeterminazione dei popoli. Tutti piuttosto dovrebbero ricordare che nelle concitate ore precedenti la fuga di Yanukovich e la tragedia di piazza Maidan, in realtà era stato trovato un accordo, alla presenza di quattro notai, fra il presidente e le forze dell’opposizione che prevedeva finalmente anche lo svolgimento di libere elezioni. L’accordo però  stranamente saltò, ed alcuni governi occidentali decisero di intervenire aiutando il Parlamento ucraino. A quel punto, Putin rispose con l’occupazione della Crimea che in realtà da sempre era stata a maggioranza russofona. Bastava aspettare mezz’ora per evitare tutto quello che poi ne è seguito. Sulle successive e conseguenti sanzioni, sono contrario perché, conoscendone le motivazioni, si tratta politicamente di un qualcosa di ostile e di scorretto. Lo scopo di chi le ha fortemente volute ed imposte era quello di far ribellare il popolo, contro un governo in realtà sovrano, in quanto democraticamente eletto. Non rendendosi invece conto che non solo sono controproducenti dal punto di vista squisitamente economico ma possono, quale effetto indesiderato, anche sviluppare il senso di identità ed appartenenza nazionale. Un po’ come accadde, facendo i dovuti  e debiti distinguo, nel 1936 con Mussolini che si oppose alle sanzioni della Società delle Nazioni, dopo l’invasione dell’Etiopia”.

Per quanto riguarda i rapporti con il nuovo presidente americano Donald Trump, Romano ha offerto una chiave di lettura diversa, rispetto a quella che ci è stata sinora propinata dai mainstream nostrani che in maniera malcelata continuano a pescare nel torbido, laddove invece non c’è. “La mia sensazione – ha confermato – è che Putin avrà un rapporto piuttosto distaccato con Trump, nel senso che non vuole apparire come colui che investe su di lui perché lo ritiene inaffidabile ed imprevedibile. E credo che lo stesso discorso vada fatto anche per gli altri “Trump d’Europa”, come può essere ad esempio la Le Pen in Francia. Sulla questione hacker, non so se sorridere o arrabbiarmi, perché in fondo lo fanno tutti. Non solo perché politicamente è utile, ma è pure lecito. In tal senso, voglio raccontare un aneddoto. Nella primavera del 2001, George W. Bush era stato da poco eletto presidente, quando un grosso aereo americano fu costretto – probabilmente perché abbattuto – ad atterrare in una grande isola cinese. Seguì un vivace battibecco fra USA e Cina, e quando gli statunitensi lo ripresero – dopo un accordo di cui non abbiamo mai saputo i contenuti – lo trovarono svuotato perché prima fu portato a Pechino. Con questo voglio dire che finché si rubano dei documenti, non è un problema. Ma stavolta stiamo assistendo ad una nuova forma di utilizzo e boicottaggio del sistema informatico. Qui invece entriamo in una zona molto più pericolosa, perché si tratta di atti ostili che addirittura possono essere causa di conflitti, non più e non solo verbali. Credo che Putin di questo ne sia consapevole, e non penso che esagererà”.

Non è mancato un accenno, infine, anche alla controversa riforma del diritto di famiglia, oggetto di una serie di clamorosi errori commessi dai media nostrani. “A dire il vero – ha commentato Romano -, non ne sono affatto sorpreso, perché è il riflesso di un atteggiamento conservatore da parte del gruppo dirigente putiniano ed anche della volontà della Chiesa Ortodossa di recuperare con fermezza il tradizionale potere di influenza sulla società russa”.

 

Francesco Montanino

 



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