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San Nicola di Myra e la Leggenda di Kiev

stemma reale S. NicolaNell’anno 1087, per opera di sessantadue marinai, di cui quarantasette baresi, venne iniziata e portata a termine una storica impresa che ebbe le sue ripercussioni non solo nelle città marinare e mercantili dell’Italia meridionale, ma anche su una vasta aera i cui confini, se di confini vogliamo parlare, vanno senza ombra di dubbio dall’Atlantico agli Urali. Un’impresa di notevole importanza per l’evoluzione e la diffusione del culto nicoliano in Occidente, che consentì la traslazione dei resti mortali del santo e taumaturgo Nikolaos di Myra, da Myra, nell’odierna Turchia, fino a Bari, dove tutt’oggi riposano.

Ma chi era realmente questo personaggio, divenuto uno dei santi più venerati sia nell’Oriente ortodosso che nell’Occidente cattolico? Basandoci sulle varie fonti storiche che ne ripercorrono la vita e le gesta, apprendiamo che Nikolaos nacque probabilmente a Patara di Lycia attorno al 270 d.C. da una famiglia benestante da tempo convertitasi al Cristianesimo. Avendo perso prematuramente i genitori, tali Epifanio e Giovanna, a causa di una pestilenza, divenne già molto giovane erede di un cospicuo patrimonio che, secondo le fonti agiografiche, avrebbe impiegato per aiutare i bisognosi.

Si narra che Nicola, venuto a conoscenza del fatto che un ricco notabile della sua città era caduto in disgrazia e, non potendo far sposare dignitosamente le sue tre figlie, le stava per avviare alla prostituzione, abbia preso una ingente quantità di denaro e, avvoltolo  in un panno, l’abbia gettato nella casa dell’uomo in tre notti consecutive, in modo che le tre figlie avessero la dote per il matrimonio.

Un’altra leggenda narra che Nicola, già divenuto vescovo, abbia resuscitato tre bambini che un macellaio malvagio aveva ucciso e messo sotto sale per venderne la carne. Episodio, quest’ultimo, che probabilmente sta alla base del fatto che S. Nicola sia ancora oggi venerato come protettore dei bambini.

Lasciata la sua città natale, Nikolaos si trasferì a Myra, dove venne ordinato sacerdote. Alla morte del vescovo metropolita della città venne acclamato dal popolo come suo successore. Imprigionato ed esiliato nel 305 durante le persecuzioni anti-cristiane emanate dall’Imperatore Diocleziano, sarebbe stato poi liberato da Costantino nel 313, riprendendo l’attività apostolica. Non è certo se sia stato uno dei 318 partecipanti al Concilio di Nicea del 325, durante il quale avrebbe, secondo alcune fonti, condannato duramente l’eresia dell’Arianesimo.

Diverse leggende  – nessuna delle quali dimostrabile storicamente – sono sorte riguardo alla sua presenza a Nicea, una delle quali ci tramanda addirittura che Nikolaos, in un impeto d’ira, avrebbe addirittura preso a schiaffi Ario. Gli scritti di Sant’Andrea di Creta e di San Giovanni Damasceno ci confermano la sua fede ben radicata nei principi dell’ortodossia cattolica.

Risulta difficile in poche righe riassumere tutte le imprese ed i miracoli che la tradizione agiografica attribuisce a S. Nicola. Si narra addirittura, fra le altre cose, che fece placare una furiosa tempesta, che abbia salvato la città di Myra da una grande carestia ottenendo prontamente abbondanti scorte di cibo, e che sarebbe addirittura riuscito ad ottenere per i suoi concittadini una riduzione delle imposte imperiali e a far liberare tre ufficiali ingiustamente condannati a morte da Costantino. Fatti che, se veri, dimostrerebbero una notevole abilità diplomatica e una certa scaltrezza nell’amministrazione, anche politica, della sua diocesi.

Secondo la tradizione morì a Myra il 6 Dicembre, presumibilmente dell’anno 343, forse nel monastero di Sion. Come si tramanda da secoli è descritto compiere miracoli in vita e in morte; tale tradizione si consolidò ulteriormente nel tempo, anche per il gran numero di eventi prodigiosi a lui imputati e che si diffusero ampiamente in Oriente, a Roma e nell’Italia meridionale. Le sue spoglie furono conservate con grande devozione di popolo, nella cattedrale di Myra fino al 1087.

Ma torniamo appunto a questa data e all’epica impresa della traslazione delle spoglie del santo dalla costa anatolica fino a Bari. Come testimoniano numerosi testi, per i marinai baresi non si trattò certamente di un fatto nuovo l’interessarsi alle reliquie di un santo; infatti, in più occasioni, i marinai della città delle Puglie, scioltisi dagli obblighi padronali, si erano precedentemente distinti intraprendendo spontanei pellegrinaggi, soprattutto al Santo Sepolcro di Gerusalemme, a Sant’Jacopo di Galilea e alla Tomba degli Apostoli a Roma. Tuttavia, l’impresa del 1087 non fu un semplice pellegrinaggio, ma, vista da un’ottica cattolico-latina, un’azione di grande significato religioso, e, vista da un’ottica greco-ortodossa, una vera e propria azione di pirateria. In ogni caso, per come la si voglia vedere, si trattò indubbiamente di un importante evento storico e politico.

I sessantadue uomini, salpati da Bari per una missione commerciale, una volta raggiunta Antiochia appresero da fonti non del tutto note che alcuni marinai veneziani, anch’essi ad Antiochia per motivi commerciali, avevano l’intenzione di trafugare le spoglie di San Nicola, che riposavano a Myra, città all’epoca sottomessa ai Saraceni. I Baresi, accelerati i loro commerci e lasciata Antiochia, decisero di fare rotta verso Andriaki, il porto di Myra, con l’intenzione di mettere per primi le mani sulle preziose reliquie. E, a quanto pare, vi riuscirono senza incontrare troppe difficoltà. Ripartiti da Myra il 20 di Aprile, dopo una breve sosta nel porto di San Giorgio, giunsero a Bari la sera di Domenica 9 Maggio.

Questo non è che il nucleo del fatto storico, il cui racconto è giunto fino a noi tramite numerose cronache e documenti del tempo. Quattro di questi vennero dedicati alla narrazione specifica, più o meno particolareggiata, della storica impresa.

Informazioni sull’avvenimento furono attinte da più fonti e, di conseguenza, non tutte presentano uno svolgersi dei fatti alla stessa maniera, anche a causa delle diverse interpretazioni e delle concezioni politiche e religiose degli autori delle cronache.

 

Come abbiamo accennato poc’anzi, i principali resoconti di questa avventura, denominati “leggende”, pervenuti fino a noi sono quattro: la Leggenda di Niceforo, quella di Giovanni Arcidiacono, quella gerosolimitana di Tours, e quella dello Pseudo Efrem, o di Kiev.

La leggenda del monaco benedettino Niceforo, di evidente angolazione filo-bizantina, è senza dubbio la più ricca di notizie e di particolari, almeno da un punto di vista prettamente storiografico. Essa ci è pervenuta in tre varianti fondamentali: la “Vaticana”, la “Beneventana” e la “Greca”.

La leggenda di Giovanni Arcidiacono (Cod. Vat. Reg. Lat. 477, fol. 29-38; sec. XII) si differenzia sostanzialmente da quella niceforiana per una diversa prospettiva ecclesiastica.

La leggenda di Kiev, la più breve ma senz’altro la più interessante da un punto di vista storico e religioso, sulla quale concentreremo la nostra attenzione, è stata oggetto in passato di  approfonditi studi e ricerche. A Francesco Nitti Di Vito e a Giuseppe Praga si devono le prime due traduzioni in Italiano, la prima lingua occidentale in cui sia stata tradotta. Essi, inoltre, sono stati i primi a trattare l’argomento ex professo. Ma Se a Nitti Di Vito e a Praga spetta giustamente il merito di  essere stati i “pionieri” dello studio moderno di questo testo, non dobbiamo assolutamente ignorare il fatto che il loro lavoro pecca di non poche lacune ed errori, messi in evidenza da studi successivi, quale il saggio di Gerardo Cioffari “La Leggenda di Kiev” (Centro Studi e Ricerche “San Nicola”, Bari 1980). Un’opera, questa di Cioffari, sulla quale si basa in buona parte questo nostro studio, e che ha contribuito in larga misura a fare luce sulla versione russa.

Il saggio di Cioffari è diviso in due parti: la prima, che consiste in una brillante e particolareggiata introduzione storico-letteraria al tema della leggenda, e la seconda, costituita dal testo originale riprodotto in fac-simile dal Codice Rumjancev, con a fronte la traduzione italiana del testo che fa da didascalia alle illustrazioni. Vi è inoltre allegata la prima traduzione del testo originale in lingua Inglese. Si tratta di un testo, quindi, che consigliamo vivamente a chi voglia maggiormente documentarsi sulla Leggenda di Kiev, o iniziare su di essa studi più specifici e approfonditi.  

Veniamo ad esso ad esaminare più da vicino la narrazione kieviana. Innanzitutto ci sarà senz’altro chi si è chiesto il perché di tale denominazione. La risposta è semplice: poiché non si è a conoscenza di una qualsiasi indicazione che ci permetta di dedurre con certezza il nome dell’autore, è stata scelta una denominazione legata a quella del luogo di provenienza del testo, appunto Kiev.

Per meglio comprendere come mai un fatto avvenuto nella lontana Bari abbia potuto avere tanta risonanza a Kiev e in tutta la Russia, al punto da spingere il metropolita Efrem a istituire la festa liturgica del 9 Maggio, dobbiamo tener presente che la traslazione delle reliquie avvenne contemporaneamente a due notevoli prodigi attribuiti al Santo, verificatisi rispettivamente a Vysegrad e a Dorogobuze; prodigi che resero immensa la già grande popolarità di San Nicola. Una popolarità della quale possiamo trovare conferma in affermazioni come la seguente: “Vieni nella Rus’ e vedi che non c’è città o villaggio ove non si sia verificato un numero assai grande di miracoli di san Nicola” (cf. Archim. Leonid, Zitie, pag. 90).

Ovviamente, affermazioni di questo genere non soltanto ci forniscono un nitido quadro della religiosità e della visione della vita del russo dell’XI secolo, ma ci dimostrano anche il grado di popolarità che in terra russa ha sempre avuto il culto di San Nicola. Tanto che ancora oggi, nonostante gli oltre settant’anni di regime comunista che la Russia ha vissuto sulla propria pelle e che ancora non si è lasciata del tutto alle spalle, non vi è una singola chiesa, dal Mar Baltico fino a Vladivostok, in cui non sia presente un’immancabile icona del Santo di Myra.

Quasi un secolo prima dell’impresa dei marinai baresi, Vladimir, Principe di Kiev, aveva dedotto che un’unica religione per tutto il suo popolo avrebbe rafforzato sia il suo potere che l’unità politica dello stato. Decise pertanto di imporne una destinata a sostituire le numerose credenze religiose politeiste, animiste e anche sciamaniche fino ad allora largamente praticate su tutto il territorio dei suoi domini. Secondo una leggenda ancora oggi molto popolare, Vladimir avrebbe fatto la sua scelta definitiva soltanto dopo aver inviato i propri emissari a raccogliere informazioni sull’Islam, sull’Ebraismo e sul Cristianesimo. Scartò la prima poiché il Corano proibiva il vino. “Quello di bere – disse – è il più grande piacere dei Russi”. La seconda non fu di suo gradimento, poiché gli Ebrei avevano dovuto abbandonare la loro terra e lui riteneva disdicevole adottare una religione di un popolo disperso nella diaspora. Oppure, molto più realisticamente, perché l’Ebraismo era stato adottato circa tre secoli prima dall’impero dei Kazari, per lungo tempo acerrimi nemici della Rus’ di Kiev e da questa recentemente sconfitti.

Rimanevano quindi a Vladimir da esaminare solo le due confessioni cristiane. Se, come narra la tradizione, gli emissari del Principe rimasero assai delusi del loro viaggio a Roma, probabilmente per la scarsa considerazione nei loro confronti manifestata dal Papato, essi rimasero invece abbagliati a Costantinopoli per lo splendore e la magnificenza della chiesa ortodossa e del rito greco. “I Greci – raccontarono – ci hanno portati negli edifici dove adorano il loro Dio e noi non sapevamo più se eravamo in cielo o in terra, perché uno splendore e una bellezza del genere in terra non si trovano e noi non sappiamo davvero come descriverli”. Colpito da questo resoconto, il Principe Vladimir si fece battezzare secondo il rito ortodosso ed impose a tutti i suoi sudditi di abbandonare le loro credenze e di seguire il suo esempio.

Così, naturalmente, narra la tradizione, ma è più probabile che la scelta di Vladimir sia stata dettata più da ragioni politiche e strategiche, dati i legami che ormai da tempo il suo regno aveva instaurato con l’Impero Bizantino.

Come sottolinea Gerardo Cioffari nel suo saggio, il termine russo più comune per indicare una leggenda è slovo (parola, sermone, racconto); da questo deriva la denominazione “Slovo o perenesenii moscej Nikolaja Cudotvorca” (Sermone sulla traslazione delle reliquie del taumaturgo Nicola).

La leggenda di Kiev, che si inserisce nel quadro della letteratura agiografica nicolaiana e che, nonostante la sua brevità, ne occupa un posto di primo piano, è suddivisa in tre parti: l’esordio, la cronaca dei fatti e la dossologia finale. É scritta in Paleoslavo (staroslavianskij jazyk) o, più precisamente, in Slavo Ecclesiastico (cerkovno slavianskij jazyk), il linguaggio proprio dei testi di natura ecclesiastica e religiosa che costituisce un ramo particolare del Paleoslavo. In essa, come traspare da un attento esame del testo, confluiscono generi letterari diversi. In alcuni punti presenta tutte le caratteristiche tipiche della cronaca annalistica (Letopis’), un fatto questo che ci suggerisce una sua probabile sua origine nel monastero Pecerskij di Kiev, dove i vari cronisti dell’epoca raccoglievano diligentemente tutte le notizie che potevano ricevere, sia orali che scritte.

La data di composizione dell’opera, almeno nella forma in cui ci è pervenuta, viene indicata nell’arco del decennio 1110-1120, culmine di un periodo di decadenza per lo stato di Kiev, iniziato nel 1054 con la morte del Principe Jaroslav il Saggio.

Quanto all’autore, viene troppo frettolosamente indicato da alcuni testi come Efrem, metropolita di Parejaslavl’, un’attribuzione non dimostrabile e secondo Cioffari priva di alcun fondamento.

In conclusione, abbiamo a che fare non solo con un piccolo tesoro della letteratura russa antica, vera miniera d’oro ancora tutta da scoprire, o con una pietra miliare della tradizione kieviana, ma con un’opera che, nella sua breve stesura e semplice forma, racchiude un immenso valore culturale, storico e religioso.

Francesca Brienza

 

 

 

 

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