Cultura

Pubblicato il Marzo 29th, 2018 | Da Redazione Russia News

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“Revolutija: da Chagall a Malevich, da Repin a Kandinsky”

Al MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna – la mostra “Revolutija: da Chagall a Malevich, da Repin a Kandinsky” ripercorre il fermento culturale dei primi decenni del ‘900 in Russia.

In occasione del centenario della rivoluzione russa il MAMboMuseo d’Arte Moderna di Bologna ospita fino al 13 maggio prossimo la mostra “Revolutija: da Chagall a Malevich, da Repin a Kandinsky”. L’esposizione, allestita ed organizzata da CMS.Cultura in partnership con il Comune di Bologna / Istituzione Bologna Musei, è il frutto della collaborazione con il Museo di Stato Russo di San Pietroburgo cui appartengono i due curatori, Evgenia Petrova (Vicedirettore dello stesso museo) e Joseph Kiblitsky.

Che libertà! Con questa tela imponente di Ilya Repin si apre la mostra, che da un duplice punto di vista, quello artistico e quello storico, approfondisce il tema della rivoluzione nell’arte durante i primi decenni del secolo scorso, portatori di importanti rivoluzioni nella società e nella politica in Russia.

Dopo una carrellata di foto d’epoca, attraverso le quali il visitatore viene calato nella dimensione storica degli avvenimenti dei primi anni del ’900, eccoci di fronte al quadro di Repin, inno alle speranze umane per raggiungere la felicità e la libertà. Dipinto nel 1903, esso raffigura una coppia borghese che affronta le onde di un mare in tempesta (simbologia frequentemente utilizzata per rappresentare i moti rivoluzionari); tenendosi per mano e sorridendo i giovani sembrano proprio esclamare con un gesto liberatorio, che la libertà ed il nuovo si stanno facendo strada e che sarà compito loro rompere le convenzioni senza pudori e a cuore aperto (come il petto e le braccia dell’uomo), affrontando il pericolo insieme.

Purtroppo, il fervore positivo che ci invade guardando il bellissimo 17 ottobre 1905 (1907) ancora una volta di Repin, fa da contraltare alla brutalità con cui l’esercito zarista represse questa insurrezione dal carattere decisamente socialista.

Ed è proprio in questo momento che la tradizione culturale del realismo venne infranta con prepotenza ed ebbe inizio la straordinaria modernità ed ecletticità dei movimenti culturali della Russia d’inizio Novecento: dal primitivismo al cubo-futurismo, fino al suprematismo con posizioni ideologiche, artistiche, filosofiche e tecniche molto avanzate e di rottura rispetto al passato.

È noto che i movimenti definiti “Avanguardie russe” difficilmente possono essere delimitati in termini spaziali e temporali e circoscritti da un punto di vista dello stile e dei contenuti; come in nessun altro momento della storia dell’arte si è assistito alla nascita di scuole, associazioni e movimenti d’avanguardia diametralmente opposti l’uno all’altro e a un ritmo vertiginoso, che hanno posto le basi per lo sviluppo di tendenze mondiali successive. Quello che è certo è il fatto che tale questo vivace contesto abbia dato i ‘natali culturali’ ad artisti come Malevich, Chagall, Kandinskij, Rodchenko, solo per citarne alcuni, che si sono distinti per essersi distaccati dalla tradizione accademica per approdare ad esperienze nuove e produzioni poliedriche ed innovative. È interessante ricordare che spesso le opere degli artisti di questi fertili decenni furono commistione di diverse espressioni artistiche: Malevich ne offre un esempio con lo spettacolo Vittoria sul Sole, prima opera totale di musica, arte, poesia e teatro, creata da Malevich con Michail Matjushin e Aleksej Kruchjonych (in mostra le riproduzioni dei costumi di scena).

Nell’idea di celebrare il centenario della rivoluzione russa attraverso il rinnovamento culturale corre parallela la volontà di riportare l’attenzione alla pittura iconica e più conosciuta di Chagall, Malevich e Kandinsky e contemporaneamente di dare doveroso omaggio ad artisti rimasti un po’ nell’ombra come Repin, Petrov-Vodkin o Kustodiev, ricostruendo la varietà e la complessità degli stili, delle posizioni e dei pensieri.

La società si stava rinnovando rapidamente, i cambiamenti erano all’ordine del giorno in tutti gli ambiti sociali e culturali e la velocità (proprio come nei futuristi italiani, di cui Natal’ja Goncharova ha indubbiamente subito l’influenza) dominava il sentimento esistenziale sia dell’uomo ‘della strada’ sia degli artisti, proprio come nel dipinto Ciclista (1913) della citata pittrice russa.

Le oltre 70 opere, capolavori assoluti provenienti dal Museo di Stato Russo di San Pietroburgo, di artisti quali Nathan Alt’man, Boris Grigor’ev, Valentin Serov, Aleksandr Rodčenko, Sof’ja Dymšits-Tolstaja, Pavel Filonov  e molti altri tra cui quelli prima citati, ripropongono le inquietudini, esasperazioni, angosce degli autori, i quali però nutrivano anche una fiducia nuova nelle agitazioni e trasformazioni del loro tempo, perché vedevano nel fuoco della rivoluzione la distruzione di un passato odiato e la possibilità di mutare l’esistenza, trovando un punto d’appoggio per il loro avvenire.

Tra le rappresentazioni di rottura verso il passato troviamo, per esempio, Il Quadrato nero, il Quadrato rosso (Realismo pittorico di contadina in due dimensioni), la Croce Nera, il Cerchio nero di Malevich (tutte opere presenti in mostra), nuove icone che egli sbandierava in volto al pubblico sconcertato. Nella mostra “010” del dicembre 1915 nell’allora Pietrogrado, il quadrato fu esposto dall’autore in un angolo della sala in alto, come si usava per le icone sacre nelle case della vecchia Russia, con un intento chiaramente dissacrante rispetto alla tradizione.

L’Avanguardia russa è nata proprio in un clima di forti contraddizioni sociali e di strappi radicali dalla tradizione ed è stata capace, almeno in principio, di rimanere lontana dalle vicende politiche contemporanee. Gli artisti difficilmente si sono spesi in prima linea nelle dispute sociali e politiche ma, piuttosto, hanno interpretato il proprio tempo dando vita a nuovi universi artistici. Verso la fine della mostra diventa chiaro che questa peculiarità non caratterizzò, invece, i periodi successivi a partire in particolare dal 1932, con l’avvio del cosiddetto Realismo Socialista.

Dalle esperienze di arte pura, assoluta, suprema che nulla ha a che fare con la vita, la società e la politica si arrivò ad un’arte a servizio della politica ed espressione della vita e del potere dell’homo sovieticus, come nel caso della celeberrima scultura L’operaio e la kolchoziana (1936) di Vera Muchina – in mostra presente con una riproduzione in scala ridotta – comunemente nota come uno dei simboli dell’Unione Sovietica.

Eventi sconvolgenti si erano susseguiti da quando nel 1930 era stata chiusa a Mosca la mostra di Malevich, così come tutte le altre mostre d’avanguardia. Lenin era morto, Stalin avanzava come testimoniato in mostra dal suo ritratto del 1936 di Pavel Filonov. Il trionfo del neo-verismo sovietico spalancava le porte a un’arte paternalistica, in cui al netto rifiuto di ogni ricerca moderna intesa a innovare il linguaggio delle arti, corrispondeva la supina accettazione del più vieto illustrazionismo.

Terminato il percorso della mostra il visitatore, però, ha la possibilità di ricominciare la visita, come se inizio e fine dell’esposizione coincidessero con il viaggio virtuale dell’arte, che rappresenta un’esperienza in cui tutto può essere rimesso in discussione, senza un categorico punto di inizio e di fine. L’arte è capace di trovare in sé inattese modalità di espressione, generate da principi e teorie nuovi ed innovativi. È solo grazie alla libertà dell’artista, non soggiogato a condizionamenti esterni, che l’arte può svilupparsi, feconda e vincente, Che libertà!

Leonora Barbiani –  Segretario Generale, Camera di Commercio Italo-Russa

 

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