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Orsini a Teatro: la Russia e l’Occidente dagli anni ’90 ad oggi

Roma. 10 maggio 2022, ore 20:20. Mancano ancora quaranta minuti all’inizio della relazione, ma in Via della Mercede, di fronte all’ingresso del Teatro Sala Umberto, c’è già grande attesa. Del resto, annunciato durante le festività Pasquali, l’evento (“Ucraina: tutto quello che non ci dicono”) era già sold-out dopo appena tre giorni. Tanti cittadini di ogni fascia d’età, riuniti in gruppi per discutere di politica estera. Qualcuno risponde ai giornalisti presenti: “Pace” e “Diplomazia” sono le parole maggiormente pronunciate. All’ingresso in sala, Alessandro Orsini è accolto da un fragoroso e sentito applauso. “Durante gli esami non mi capita di riceverne”, esordisce con una battuta il professore partenopeo, 47 anni compiuti poche settimane fa. Una scrivania al centro, pile di libri intorno ed uno schermo alle spalle su cui vengono proiettate cartine geografiche. Il significato è chiaro, sulla scena non sta per realizzarsi lo spettacolo di un one-man-show desideroso di intrattenere il pubblico in sala con effetti speciali, ma sta per tenersi una vera e propria lezione universitaria. Perché è da lì che è necessario ripartire, dai fatti, dalla storia che qualcuno (come spesso capita in tempi di crisi internazionali) vorrebbe riscrivere in funzione del presente.

Orsini si siede ed inizia la sua relazione, incentrata sui rapporti degli ultimi trent’anni tra il blocco occidentale (alleanza atlantica) e la Federazione Russa. La prosa (come si conviene ad un docente universitario) è sobria, priva di quella retorica che dal 24 febbraio sta avvelenando il dibatto pubblico italiano. Il tempo a disposizione (a differenza di quanto avviene nei salotti televisivi) consente di disvelare la complessità dell’attuale situazione geopolitica, impossibile da analizzare come mera fotografia del presente senza una necessaria ricostruzione storica.

Una parte significativa ripercorre le vicissitudini accadute durante gli anni ’90, ovvero nel periodo caratterizzato dalle presidenze di Bill Clinton e Boris Eltsin. Lo spunto che dà il via al ragionamento è la documentazione che nel 2018 la Clinton Presidential Library ha reso disponibile. Nelle carte, si legge il resoconto della telefonata (avvenuta nel 1998) in cui il presidente statunitense annuncia a quello russo il bombardamento della Serbia da parte della Nato. Le date, sottolinea Orsini, sono importanti. Nel 1998 la Russia è una potenza fortemente indebolita, reduce da un estenuante conflitto (la prima guerra di Cecenia tenutasi tra il 1994 ed il 1996) ed in piena crisi finanziaria. Una situazione che impedirebbe di fatto ad un contrariato Eltsin di poter scendere in campo per difendere lo storico alleato nei Balcani. Durante il colloquio, lo stesso presidente russo non manca di sottolineare al collega americano l’inevitabile deterioramento dei rapporti diplomatici e personali (fino al 1997 ottimi) che sarebbe scaturito qualora quella intenzione si fosse effettivamente realizzata. Quel che accadde (l’illegale aggressione avviata il 24 marzo del 1999 con il bombardamento di Belgrado e Pristina), è storia. Ed in quello specifico contesto, appare difficilmente credibile la ricostruzione che vede proprio in quegli anni l’adesione (l’ingresso avviene nel 1999, il processo di integrazione inizia nel 1997) alla Nato della Polonia, della Repubblica Ceca e dell’Ungheria motivata, secondo il fronte atlantista, dalla necessità di preservare l’Europa da una possibile minaccia russa.

Un espansionismo, quello della Nato verso Est, che non cesserà neanche negli anni a venire, nonostante i ripetuti ammonimenti dell’attuale leader del Cremlino, Vladimir Putin. Orsini lo ribadisce, quando parlando dell’attuale conflitto in Ucraina (del Donbass e di Lugansk) ricorda quanto accaduto nel 2008 (un anno dopo la manifestazione di volontà dell’Occidente di includere la Georgia nel Patto Atlantico): l’esercito russo alle porte di Tbilisi ed il formale riconoscimento da parte di Mosca dell’indipendenza delle Repubbliche dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia. Ed a chi ancora oggi sostiene che l’ingresso di Kiev nella Nato non fosse in agenda, verrebbe da chiedere perché un’alleanza militare di 30 Paesi abbia avuto la necessità di svolgere (nel solo 2021) ben tre esercitazioni militari proprio sul suolo ucraino. Alla fine, è un trionfo di applausi. Il 23 maggio si replica al Teatro 4 Mori di Livorno.

Stefano Tardi

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