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Il ministro degli Affari Esteri armeno Nalbandian in visita a Roma parla del conflitto in Nagorno Karabakh

Roma – Mercoledì 7 giugno, presso la sede del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale di Palazzo della Farnesina e la sede della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (SIOI) di Palazzo Venezia, hanno avuto luogo due eventi istituzionali legati all’Armenia. Il primo, ospitato nella mattinata al Palazzo della Farnesina ha riguardato una Country Presentation dedicata all’Armenia, moderata dal Direttore Generale per la Promozione del Sistema Paese della FarnesinaVincenzo De Luca e inaugurato dal discorso di apertura del Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri e alla Cooperazione Internazionale Benedetto della Vedova e del Ministro degli Affari Esteri della Repubblica di ArmeniaEdward Nalbandian. Durante l’evento ha avuto luogo la cerimonia di firma del Memorandum of Understanding tra l’Istituto Nazionale per il Commercio con l’Estero (ICE) e la Fondazione per lo Sviluppo dell’Armenia (DFA).

L’analisi Paese ha messo in luce criticità e punti di forza di un Paese che, sebbene stia cercando di fortificare il suo sistema produttivo e attirare nuovi investitori dimostra come, lo sviluppo economico sia lontano dall’essere completato. Per cercare di correggere le proprie criticità, l’Armenia è divisa tra le prospettive di sviluppo offerte sia dall’Ue sia dalla Russia. Erevan volge lo sguardo tanto allo spazio post-moderno dell’Unione Europea e dunque alla possibilità di essere incorporata nel mondo occidentale, quanto alla prospettiva pre-moderna dello spazio post-sovietico cercando di comprendere se sia o meno vantaggioso far parte del progetto  avanzato dalla Russia.

Durante il discorso inaugurale della Country Presentation il Ministro degli Esteri italiano Alfano e il Ministro degli Esteri armeno Nalbandian hanno discusso delle relazioni esistenti tra i due paesi e di possibili scenari di cooperazione economica; si sono in seguito dimostrati disponibili ad accogliere le domande del pubblico che hanno riguardato soprattutto i temi del terrorismo internazionale e del conflitto irrisolto del Nagorno-Karabakh.

Relativamente al tema del terrorismo Alfano ha ribadito la necessità di lavorare con tutti gli alleati a un strategia di lungo respiro che preveda accanto a una strategia securitaria, una strategia volta a favorire sia il dialogo politico che quello interreligioso.

In una domanda al Ministro degli Esteri armeno Nalbandian è stato evidenziato come ad oggi non solo la regione del Nagorno-Karabakh, ma anche sette distretti azerbaigiani adiacenti restino occupati illegalmente dalle truppe dell’Armenia, e i co-presidenti del gruppo di Minsk abbiano più volte dichiarato inaccettabile tale situazione. Gli è stato dunque chiesto quando l’Armenia pianifica di ritirare le sue truppe armate, come previsto da vari documenti internazionali. Lo stesso Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha emanato nel 1993 quattro risoluzioni (nn. 822 , 853, 874 e 884) per intimare il ritiro delle truppe di occupazione. Il Ministro degli Esteri armeno ha criticato l’atteggiamento dell’Azerbaigian definendolo non disponibile a favorire il processo negoziale e non in linea con i provvedimenti emanati dai co-chairs dell’OSCE Minsk Group. L’opinione del ministro Nalbandian sembra però non coincidere con una visione largamente diffusa a livello internazionale secondo cui, l’Azerbaigian fin dall’inizio dello scoppio delle ostilità ha assunto un comportamento pacifico nonostante l’occupazione illegale del 20% del suo territorio da parte di truppe di occupazione armena e mostrato il suo impegno a risolvere pacificamente il conflitto senza ricorrere all’uso della forza. Il governo azero continua a incrementare gli sforzi nel senso di una risoluzione pacifica del conflitto che possa porre fine alle sofferenze umane ed economiche di ambo le parti.

Il tema del conflitto del Nagorno-Karabakh è stato al centro anche del secondo evento della giornata che ha avuto luogo presso la sede della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (SIOI) e che è stato inaugurato dal discorso di apertura del Presidente della SIOI Franco Frattini.

Quanto emerso rivela come la soluzione del conflitto sia minacciata prima di tutto dall’ignoranza pressoché totale dell’opinione pubblica mondiale relativamente ai fondamenti storici dello stesso che la rende vulnerabile agli sforzi di storici e ai propagandisti armeni di giustificare le pretese politiche e storiche del proprio Paese verso territori che storicamente non hanno mai fatto parte dell’Armenia. Per risolvere il conflitto bisognerebbe coniugare la realtà storica del conflitto con gli strumenti forniti dal diritto internazionale. Se ci si serve degli strumenti di diritto internazionale è possibile trovare alcune debolezze nelle rivendicazioni dell’Armenia. L’idea secondo cui l’Azerbaigian non avrebbe alcun diritto di avanzare pretese sui confini dell’epoca sovietica in considerazione della sua rinuncia alla successione statale risultata dal periodo sovietico, può essere risolta con il principio dell’ “uti possidetis juris” secondo il quale, al momento della conquista dell’indipendenza da parte dell’Azerbaigian valgono i confini amministrativi precedenti quali confini internazionali protetti dal diritto internazionale.

Particolarmente interessante è stata la domanda relativa al fatto che i richiami al principio di autodeterminazione dell’Armenia ricordino l’annessione della regione Sud Orientale della Cecoslovacchia da parte della Germania nazista nel 1938. L’Azerbaigian ha più volte specificato ad alti livelli che è pronto a riconoscere uno status di repubblica autonoma alla regione all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti e riconosce anche il diritto all’autodeterminazione della comunità armena all’interno di questa autonomia. Nel quesito al ministro si domandava l’opinione armena sulla possibilità di utilizzare il modello autonomistico del Trentino Alto-Adige per risolvere il conflitto del Nagorno-Karabakh.

L’Azerbaigian ha approfondito infatti vari modelli di autonomia nel mondo, inclusa la realtà del Trentino Alto-Adige e il suo particolare assetto autonomistico come valido aiuto nella risoluzione delle ostilità con l’Armenia. Purtroppo il ministro non è entrato nel merito della domanda, rilasciando dichiarazioni solo sul processo di negoziato.

Relativamente al principio di autodeterminazione dei popoli rivendicato dall’Armenia e il presunto diritto di procedere all’annessione del territorio del Nagorno-Karabakh all’Armenia bisogna chiarire che, dal punto di vista del diritto internazionale la totalità degli armeni che vivono nel Nagorno-Karabakh non costituiscono né una nazione né un popolo. La comunità internazionale si è pronunciata a favore dell’autodeterminazione della comunità armena del Nagorno-Karabakh all’interno di uno Stato azerbaigiano unitario. Dal punto di vista del diritto internazionale il Nagorno-Karabakh è senza dubbio parte integrante della Repubblica azerbaigiana. Nessuno stato ha riconosciuto la separazione del Nagorno-Karabakh dall’Azerbaigian né la sua annessione all’Armenia. Per quanto detto si evince come, la comunità armena del Nagorno-Karabakh dovrebbe dimostrarsi disposta a riconoscere lo status autonomo del Nagorno-Karabakh sotto forma di Repubblica autonoma all’interno dell’Azerbaijan risolvendo così pacificamente il conflitto. L’Armenia dovrebbe inoltre provvedere allo sgombero delle regioni occupate azerbaigiane promettendo, sia di non rivendicare ulteriori pretese territoriali sia impegnandosi a risarcire alla Repubblica dell’Azerbaigian i danni materiali ad essa arrecati.

Durante la seconda parte della giornata di lavori Franco Frattini ha parlato anche delle ultime elezioni in Armenia la cui regolarità è stata per molti compromessa dalla compra-vendita di voti e da pressioni su dipendenti privati e pubblici. La conferenza è stata un’importante piattaforma di confronto con il pubblico presente, che ha avuto la possibilità di fare alcune domande.

Le dichiarazioni rilasciate dal Ministro armeno nella giornata del 7 giugno a Roma, così come la mancanza di risposte concrete alle domande relative al conflitto, confermano la non volontà dell’Armenia nel cambiare lo status quo ed approdare ad una soluzione pacifica del conflitto stesso.

Giorgia Pilar Giorgi*

 

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