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CONFINDUSTRIA: ITALIA A CRESCITA ZERO, SOLO L’EXPORT PUO’ EVITARE LA RECESSIONE

ROMA – Nella sede di Viale Dell’Astronomia si è tenuto l’incontro nel quale è stato presentato il rapporto del Centro di Studi di Confindustria intitolato “Dove va l’economia italiana e gli scenari geoeconomici”.

Una relazione che ha messo in evidenza lo stato di salute dell’economia italiana, analizzando i dati del 2018 appena trascorso ed ipotizzando lo scenario dei prossimi ventiquattro mesi, anche alla luce della legge di Stabilità approvata nonché del quadro internazionale che si sta delineando. Un dato, quello dell’economia mondiale, soprattutto relativamente alla domanda, indispensabile per chi, come l’Italia, deve al solo export un valore pari ad un terzo del suo prodotto interno lordo. La fotografia, non incoraggiante, è quella di un Paese in stagnazione.

Andrea Montanino, Direttore del Centro Studi di Confindustria, ha aperto i lavori analizzando l’andamento economico dell’anno passato: +0,9%; un numero, quello delle crescita del PIL, da leggere nel dettaglio, in quanto media di un primo semestre di crescita e di un secondo caratterizzato dal segno “meno” che, nel linguaggio economico, significa di fatto “recessione tecnica” (ovvero il verificarsi di una variazione congiunturale negativa per due trimestri consecutivi). Una situazione che ha avuto inevitabili ripercussioni anche sul piano occupazionale. Il Decreto Dignità, varato nel mese di luglio e che doveva, nella volontà del governo, favorire la stabilità del lavoro a scapito della precarietà, non sembra aver raggiunto gli effetti desiderati. Negli ultimi sei mesi del 2018, infatti, l’occupazione, cresciuta di 198.000 unità nel primo semestre del 2018, ha registrato un calo di 84.000 posti di lavoro. Al netto delle dinamiche interne, il Centro Studi di Confindustria ha individuato 5 principali fattori geoeconomici come determinanti nella spiegazione dei numeri italiani. Nella relazione si legge come gli Stati Uniti, con l’introduzione di nuovi dazi, seppur principalmente diretti verso i prodotti cinesi, abbiano generato una forte incertezza tra tutti gli operatori globali; ed è noto come la manifattura italiana (sia direttamente che indirettamente attraverso i semilavorati) sia particolarmente esposta verso il mercato USA. Per restare in ambito americano, inoltre, l’uscita unilaterale di Washington dall’accordo sul nucleare iraniano, con la conseguente reintroduzione delle sanzioni economiche verso Teheran, ha danneggiato non poco le imprese europee; soprattutto quelle del Belpaese : sono infatti italiani un sesto dei prodotti e quasi la metà dei capitali che dall’Europa muovono verso l’Iran. Determinante senza dubbio l’aumento dei prezzi dell’energia; la bolletta energetica delle imprese e delle famiglie italiane nel 2018 è salita al 2,3% del PIL, riducendone sensibilmente le capacità di investimento e di spesa. A questi fattori si sono aggiunte le crisi finanziarie di alcuni paesi emergenti (Argentina e Turchia su tutti) e la mancata riforma delle istituzioni europee. Proprio l’Europa, chiamata alle elezioni per il rinnovo del Parlamento il prossimo 26 maggio sarà un fattore determinante per le sorti politiche degli Stati membri. Un voto dal risultato ancora incerto che potrebbe produrre maggioranze diverse da quelle (l’asse popolari-socialisti) che lo ha sorretto per lunghi periodi. E poi, non ultimo, c’è il fattore Brexit, che resta a tutt’oggi un’incognita. Così come, nell’economia mondiale, peserà lo stato delle relazioni tra Washington e Pechino: se Stati Uniti e Cina non trovassero degli accordi strutturali non si potrebbe escludere il rischio di una escalation protezionistica che provocherebbe una inevitabile contrazione del mercato globale. Per il 2019 è previsto comunque un aumento della domanda mondiale che dovrebbe trainare l’export italiano. La crescita “zero” stimata da Confindustria per il 2019 è infatti il risultato della compensazione della contrazione della domanda interna con l’aumento delle esportazioni. Tradotto significa che solo il traino dell’economia mondiale eviterà all’Italia la recessione; oltre alla contrazione della domanda interna è infatti previsto anche un calo degli investimenti (-0,7%). Preoccupazioni in vista anche per il 2020: se nella prossima legge di stabilità non saranno trovate misure per scongiurare l’aumento dell’IVA, il rischio di una spirale recessiva sarebbe estremamente elevato così  come è vero che, con gli attuali livelli di crescita, un mancato aumento della stessa potrebbe generare un deficit al 3,5% (con tutte le conseguenze che ne deriverebbero).

A livello di interazioni economiche il Centro Studi di Confindustria ha poi ideato, sulla base di sei parametri (interscambio commerciale, flussi di investimento diretti esteri, interconnessioni finanziarie, importazione di idrocarburi, scambi tecnologici, crescita dei mercati di destinazione) un Indice sintetico di Rilevanza Geoeconomica per oltre 100 paesi, al fine di individuare una mappa mondiale delle aree strategiche più importanti per l’economia italiana. I risultati hanno rilevato 7 principali partner: gli Stati Uniti (al primo posto nella cooperazione tecnologica), la Francia (al primo posto per i legami finanziari), la Germania (prima nell’interscambio commerciale), il Regno Unito, i Paesi Bassi, la Russia (prima nell’importazione di idrocarburi) e la Cina.

Dopo una tavola rotonda moderata dallo stesso Montanino in cui hanno preso parte il direttore de “La StampaMaurizio Molinari e Reza Moghadam di Morgan Stanley, è intervenuto il Ministro degli Affari Esteri, Enzo Moavero Milanesi. A chiudere i lavori è stata la relazione del Presidente di Confindustria Francesco Boccia. Nel suo intervento Boccia, dopo aver ricordato come la legge di stabilità abbia (in virtù del rispetto di un “patto di governo”) impegnato la spesa pubblica in interventi che avranno un impatto piuttosto esiguo sulla crescita, ha auspicato un cambio di strategia, finalizzato alla crescita ed all’occupazione, evocando anche l’immediato dopoguerra in cui la centralità del lavoro venne posta a fondamento della ricostruzione. Il Presidente di Confindustria, inoltre, ha altresì individuato nel cambio delle politiche europee una via di uscita dal blocco degli investimenti, superando la cultura contabile dei saldi di bilancio per orientarla sulle finalità e gli obiettivi, per consentire all’Europa di tornare ad essere protagonista e competere nel mercato globale.

Stefano Tardi

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