Caucaso

Pubblicato il Aprile 23rd, 2018 | Da Redazione Russia News

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Armenia nel caos: dopo giorni di proteste popolari l’ex presidente e primo ministro Serzh Sargsyan si dimette

Yerevan – Il primo ministro armeno Serzh Sargsyan si è dimesso, dopo che per giorni era stato contestato in una serie di grandi proteste organizzate nella capitale Yerevan e in altre città del paese. Alle proteste, che sono continuate fino a lunedì mattina, hanno partecipato decine di migliaia di persone, che chiedevano proprio le dimissioni di Sargsyan. Il primo ministro era infatti accusato di aver trasformato il paese in uno stato autoritario, con una manovra politica che gli aveva permesso di prolungare il suo potere per un nuovo mandato: dopo aver raggiunto il limite di due mandati da presidente, aveva promosso un referendum per trasformare il paese da repubblica presidenziale a parlamentare, e si era fatto nominare primo ministro.

Lo scorso 2 marzo, infatti, il parlamento aveva eletto presidente Armen Sarkissian, un ex primo ministro e ambasciatore armeno nel Regno Unito fedele a Sargsyan. Seguendo la costituzione armena, il primo ministro Karen Karapetyan ha dato le sue dimissioni prima dell’insediamento di Sarkissian, all’inizio di aprile. A quel punto, contrariamente a quanto aveva assicurato, Sargsyan si era fatto eleggere dal parlamento nuovo primo ministro – diventato il ruolo più importante della politica armena – con 77 voti a favore e 17 contrari. Il controllo di Sargsyan sul parlamento era sato tale che avevano votato per lui anche la maggior parte dei membri dell’opposizione. Con questa manovra si era assicurato il potere fino a un’eventuale sfiducia dall’attuale parlamento, o fino alle nuove elezioni previste per il 2022.

Sargsyan ha 63 anni ed è stato ai vertici della politica armena fin da quando il paese era ancora una repubblica dell’Unione Sovietica. Negli anni Novanta fu uno dei principali dirigenti del Partito Repubblicano, il primo partito autonomo formato dopo l’indipendenza, di orientamento nazionalista e conservatore, e sostanzialmente erede del Partito Comunista. Dopo essere stato più volte ministro, Sargsyan fu eletto presidente dell’Armenia per un primo mandato nel 2008, e una seconda volta nel 2013.

Soltanto ieri Serzh Sargsyan aveva fatto arrestare tre importanti leader dell’opposizione, tra cui il capo delle proteste Nikol Pashinyan, con l’accusa di aver commesso «atti socialmente pericolosi». Pashinyan è stato liberato lunedì e ha detto: “Non aspetterò a dirlo, è già chiaro no? Abbiamo vinto”.

Le proteste sono state organizzate da Pashinyan, 42enne tra i leader del Congresso Nazionale Armeno, partito liberale di opposizione fondato nel 2008 dal primo presidente del paese, Levon Ter-Petrosyan. Pashinyan è da almeno un decennio tra i più attivi oppositori politici di Sargsyan, prima come giornalista e poi come politico. Dopo le violente proteste del 2008, quando Ter-Petrosyan perse le elezioni contro Sargsyan, Pashinyan dovette nascondersi dalla polizia. Decise poi di costituirsi, e dopo due anni di carcere fu liberato per un’amnistia politica.

Negli scorsi giorni, diversi analisti e osservatori internazionali avevano sottolineato l’importanza delle manifestazioni in Armenia, che sono state pacifiche e organizzate prevalentemente dal basso, grazie a una capillare ed efficiente rete messa in piedi da Pashinyan. Dopo le dimissioni di Sargsyan le proteste sono diventate ancora più rilevanti, raro caso di manifestazioni di massa di successo nelle ex repubbliche sovietiche. Non è comunque ancora chiaro cosa succederà ora, chi prenderà il potere e che ruolo e che influenza manterrà Sargsyan nella politica del paese.

La crisi armena è stata principalmente una storia di politica interna, ma si porterà dietro comunque delle conseguenze in termini di relazioni internazionali tra Russia, Turchia e Occidente. Come tutte le repubbliche dell’ex Unione Sovietica, una volta ottenuta l’indipendenza, nel 1991, l’Armenia si ritrovò davanti la scelta tra Occidente e RussiaSargsyan, che è sempre stato accusato di essere vicino al presidente russo Vladimir Putin, nel 2013 rifiutò un importante accordo di integrazione economica con l’Unione Europea, scegliendo invece di entrare nell’Unione Economica Eurasiatica, cioè firmando l’equivalente russo di quell’accordo.

Quella armena è una popolazione in declino, la sua economia è stagnante e solo grazie alla sua dipendenza dalla Russia, che ha dovuto sovvenzionare il costo del suo sviluppo interno e la difesa dalle minacce esterne,  è riuscita a tenersi in piedi. Mosca, dal canto suo, ha però già una grande base in Armenia e vi ha fatto importanti investimenti.

Attualmente la posizione internazionale dell’Armenia è complicata anche dai tesi rapporti con la Turchia e l’Azerbaigian, che hanno chiuso i propri confini con il paese per via della storica disputa territoriale sul Nagorno Karabakh, la regione montagnosa contesa, internazionalmente riconosciuta come appartenente all’Azerbaigian.

Su questo va sottolineato la scarsa attenzione mondiale su questo conflitto nel cuore del Caucaso, anche perchè  una recrudescenza dei combattimenti nel Nagorno-Karabakh, alla fine potrebbe trascinare anche la Turchia e la Russia in una guerra che sicuramente non vedrebbe gli Stati Uniti soltanto spettatori o mediatori.

RED

 

 

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